Papa Francesco e il dialogo ecumenico

Fulvio Ferrario: la teologia cattolico-romana non è cambiata

21 aprile 2025  |  Gaëlle Courtens

Papa Francesco è morto questa mattina, 21 aprile. Quale eredità lascia sul fronte del dialogo ecumenico? In poco più di 12 anni di pontificato in che termini Jorge Mario Bergoglio ha segnato i rapporti ecumenici tra la chiesa cattolico-romana e le altre confessioni cristiane?
Senza dubbio ci sono stati dei momenti di dialogo carichi di significato. 
Nel 2015 è stato il primo papa a mettere piede in una chiesa valdese, a Torino, chiedendo scusa per le persecuzioni contro la minoranza cristiana. Nel 2016, nella data simbolica del 31 ottobre, ha partecipato a Lund, in Svezia, alla vigilia delle commemorazioni per i 500 anni per la Riforma di Martin Lutero: un’assoluta novità nella storia del cristianesimo. Nello stesso anno, qualche mese prima, un altro momento storico è stato l’incontro all'Avana con il Patriarca di Mosca Kirill, seppur organizzato in un hangar dell'aeroporto. E poi, nel 2018 Bergoglio si è recato a Ginevra per il 70. anniversario del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). "Camminare, pregare e lavorare insieme": era questo il motto di quell’incontro, in cui coniò il concetto dell'"ecumenismo dell'azione". Prima di lui quel viaggio a Ginevra lo intrapresero Paolo VI nel 1969 e Giovanni Paolo II nel 1984. In che termini questi incontri e questi gesti di Papa Francesco sono andati oltre la mera simbologia? Lo abbiamo chiesto a Fulvio Ferrario, già decano della Facoltà valdese di teologia a Roma, docente di teologia sistematica e profondo conoscitore della storia del movimento ecumenico mondiale.

Fulvio Ferrario, i gesti ecumenici di Papa Francesco hanno avuto qualche ricaduta effettiva nei rapporti tra le confessioni cristiane?
Questo è molto difficile da dire. Indubbiamente sarebbe miope pretendere di banalizzare quell’elenco di incontri. Anzi, su Kirill vorrei aggiungere che comunque, quando le cose hanno preso la piega che sappiamo con l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi con tanto di benedizione di Kirill per quella che egli chiama “Guerra Santa”, ebbene, Francesco è stato più chiaro del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). Questo va pur riconosciuto. Alla chiesa ortodossa russa Francesco disse quel che andava detto. Dopodiché, la teologia della chiesa cattolica non è cambiata. Questo vuol dire che non sono cambiate neanche le pratiche. Ad esempio, le famiglie interconfessionali che in paesi confessionalmente misti desiderano l'ospitalità eucaristica, la stanno ancora aspettando. I gesti di Francesco hanno potuto usufruire di una grande visibilità conferitagli dal suo ministero, ma per cambiare la realtà dei rapporti tra chiese credo che sia necessaria una sostanza che non c'è stata.

Per quanto riguarda il movimento ecumenico si sarebbe aspettato di più da questo Papa?
Non necessariamente. Il papato ha una sua agenda ecumenica che porta avanti indipendentemente dal contesto generale. E comunque, papa Francesco era consapevole del fatto di avere lui tutte le carte in mano. Il Consiglio ecumenico delle chiese sembra totalmente bloccato.

Qualcuno lo ha chiamato un “Papa di transizione”. Lei sarebbe d’accordo con questa definizione?
Non capisco bene cosa voglia dire. L'ultimo Papa veramente di transizione è stato Giovanni XXIII, colui che mediante il Concilio Vaticano II ha cambiato la Chiesa romana più di ogni altro. Bisogna stare molto attenti con queste definizioni. Il papato è una struttura così forte e così carica di storia e di prestigio, e anche di capacità operativa, che non rientra facilmente nelle categorie che i cosiddetti interpreti vorrebbero calargli addosso.

Quale caratteristica di questo pontificato metterebbe in evidenza?
È stato il primo Papa extraeuropeo e ce ne siamo accorti: uno stile diverso, una provenienza culturale diversa, e credo anche una sensibilità diversa, con priorità pastorali molto diverse da quelle che per noi in Europa sono centrali. Ad esempio, come cristiane e cristiani europei siamo impegnati a discutere di secolarizzazione e scristianizzazione. Papa Francesco pensava a un mondo globale nel quale il cristianesimo è in impetuosa crescita. Pensiamo all'Asia: c’è l'incognita cinese. Francesco, più che alle discussioni europee sul nostro “ateismo conclamato” e sulle percentuali bassissime di coloro che frequentano la chiesa, pensava a quest’altro mondo. Non è nemmeno detto che abbia veramente capito i problemi pastorali dell'Europa, se penso alla sua discussione con l'episcopato cattolico tedesco ad esempio…

Lei si riferisce a quel che è successo in Germania con l’avviamento del cosiddetto “cammino sinodale” voluto dallo stesso Papa Francesco?
Esatto. In Germania qualcuno l'ha preso sul serio credendo che questo significasse che, appunto, la base delle chiese - nella sua componente maschile e nella sua componente femminile - fosse chiamata a prendere delle decisioni. Ma Francesco spiegò che in Germania una chiesa protestante c’è già.

Una frase che non passò inosservata. Come reagirono le chiese evangeliche tedesche a questo commento?
Naturalmente il mugugno fu pesante. Molti e molte hanno sofferto. A livello ufficiale però, la risposta è stata: Roma non è un nemico.

Insomma, il cattolicesimo non funzionerà mai a “più velocità”?
Questo non saprei dirlo. Il cattolicesimo è una realtà molto diversificata. Io abito a Roma e naturalmente tendo a guardare la realtà cattolica dal punto di vista del mio contesto. Però è anche vero che si tratta di una molteplicità di sensibilità che a volte è proprio difficile cogliere. Tuttavia, il centralismo romano - che è l'altra faccia dell'universalismo - in una forma o nell'altra, si fa comunque sentire. Da questo punto di vista papa Francesco non era meno autoritario dei suoi predecessori.

Guardando al futuro, cosa potrà succedere ai rapporti tra le varie confessioni?
In questo momento c'è un’egemonia da parte del cattolicesimo romano, e comunque non possiamo prescindere dallo spostamento evidente del suo baricentro nel Sud del mondo, cosa che vale anche per il cristianesimo evangelicale. Questo dato non potrà che riflettersi anche sul futuro volto della chiesa cattolico-romana.

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