Christian Walti, tessitore, musicofilo, lungimirante e altruista
(ve/gc) Christian Walti (42) è il nuovo pastore della parrocchia riformata del Grossmünster di Zurigo. Succede al pastore Christoph Sigrist, che dopo più di 20 anni di servizio presso il duomo zurighese, l’anno scorso è andato in pensione. Christian Walti, sposato e padre di due figli, da febbraio entra a far parte del team pastorale del Kirchenkreis 1 per ricoprire insieme al pastore Martin Rüsch, attivo al Grossmünster dal 2011, quell’incarico che più di 500 anni fa fu del Riformatore Huldrych Zwingli.
Christian Walti, cresciuto sulla “Goldküste” zurighese, negli ultimi 15 anni ha vissuto e lavorato alla Friedenskirche di Berna. Nella capitale ha curato il progetto del ristorante socio-diaconale Dock8, dove emarginati e abitanti del quartiere possono incontrarsi. Fa inoltre parte del consiglio di amministrazione della rivista “Neue Wege”, fondata dal teologo riformato Leonhard Ragaz nel 1906. Gli scorsi mesi si è concesso un periodo sabbatico di studio negli Stati Uniti e in Messico.
La celebrazione ufficiale per il suo arrivo al Grossmünster si svolgerà il prossimo 23 febbraio con un culto solenne. La predicazione sarà a cura dello stesso Walti, affiancato dal pastore Martin Rüsch e dalla pastora Cornelia Camichel Bromeis.
Tra le cose che più lo appassionano figura l’incontro con le persone, come emerge dalla lunga intervista realizzata dal team di comunicazione delle chiese zurighesi del centro città e di cui proponiamo di seguito la traduzione in italiano.
Sono in preda alle vertigini per via dell’altezza verso la quale vengo proiettato. Il ministero pastorale al Grossmünster è stato a lungo un mio sogno che sentivo da tempo e che mi attirava verso i sui compiti fra tradizione e innovazione, nuovi incontri e pubbliche relazioni. Pregusto in particolare la collaborazione con i nuovi colleghi, pastore e pastori che ho già avuto modo di conoscere: un variegato miscuglio di belle personalità, ognuna con le proprie straordinarie abilità.
Il pastore Walti non è propriamente un “pescatore di uomini” in senso biblico, ma è certamente un tessitore di reti. Ovunque io vada connetto le persone a grandi reti. Gli incontri con le persone e con le loro storie, opinioni ed esperienze sono la mia pozione magica, dalla quale attingo grande forza. Spero quindi di avere ben presto il maggior numero possibile di incontri con le persone che gravitano intorno al Grossmünster. Provengo da una famiglia borghese, multilingue e cosmopolita. Mia sorella insegna educazione sessuale, i miei genitori nel corso della loro vita professionale si sono occupati di consulenza giuridica. La Goldküste (costa dorata, lato destro del lago di Zurigo, ndr), dove sono cresciuto, è meravigliosa, ma in qualche modo mi andava troppo stretta. Perciò volli andare alla scoperta del mondo e, dopo parecchio girovagare, sono finito nell’accogliente Berna. Adesso faccio ritorno a Zurigo, in una città completamente diversa rispetto a quella che ho lasciato circa quindici anni fa. A un certo punto mi sono reso conto che imparo di più su Dio e sulla sua visione del mondo quando conosco nuove persone. il Grossmünster mi offre molte opportunità di sperimentarlo. Ho il pieno di energia e mi sento quindi proprio al posto giusto in una chiesa in piena trasformazione come quella di Zurigo.
A 14 anni ho frequentato le lezioni di religione del pastore del Grossmünster Werner Gysel. A conclusione delle lezioni della seconda classe del liceo ci fece pernottare in una delle torri del Grossmünster. Fui colpito dall’atmosfera di quell’edificio buio e venerando. Ma a colpirmi ancora di più fu il fatto che per quella notte il pastore Gysel aveva affidato l’intero edificio storico a un gruppo di giovani senza sorveglianza – che gran prova di fede! Da giovane adulto ho poi studiato nell’annesso seminario teologico e visitavo spesso l’interno della chiesa. La cappella dei dodici apostoli era allora un luogo importante per me. Tenni lì il mio primissimo sermone breve.
Terminato le scuole mi sono reso conto che mi interessavano davvero troppe cose diverse tra loro: musica, teatro, filosofia, storia, politica, psicologia e lavoro con i giovani. Mi piaceva l’idea che un pastore esercitasse la sua professione in modo olistico combinando molte cose. Inoltre la “religione” e la “chiesa” erano territori piuttosto sconosciuti per me e il mio ambiente. Volevo staccarmi dalla mia famiglia d’origine e scoprire il mondo. Gli studi di teologia giunsero a pennello.
Dapprima c’è stato il lavoro con la Cevi (Associazione svizzera delle unioni delle giovani e dei giovani) nella Repubblica di Armenia, quand’ero ancora poco più che ventenne. Là ho contribuito alla realizzazione di un programma scout. I giovani nell’ex repubblica sovietica con la loro cultura orgogliosa e la desolata situazione economica e politica mi hanno fatto capire come suona la parola “speranza” in una situazione davvero disperata. Ho sviluppato un legame particolare con la cultura armena e con l’Oriente. Cerco di andare almeno una volta all’anno nei Balcani o ancora più a est per assaporare di nuovo per un paio di giorni questo particolare gusto per la vita. A segnarmi è stata in seguito la Casa delle religioni a Berna. Lì ho imparato che posso beneficiare spiritualmente anche dai credenti di altre fedi senza per questo dover rinnegare la mia propria religione. Dal mio amico Sasikumar Tharmalingam ho per esempio appreso che l’induismo non è affatto una “fede politeista”. Sono convinto della necessità di superare la nostra conoscenza superficiale di altre culture e religioni attraverso le conoscenze personali. Farebbe bene al nostro mondo polarizzato. Mi impegno perciò per la collaborazione interreligiosa. Infine è stato per me importante fare conoscenza con persone anziane del quartiere Holligen a Berna. Lì abitano da sempre i cosiddetti “Büezer” (lavoratori), la maggior parte dei quali cresciuti in condizioni di povertà in campagna. Molti furono mandati a lavorare da bambini. Hanno sgobbato una vita intera per la mera sopravvivenza. Inoltre hanno dato una mano nella chiesa e nelle associazioni e hanno sostenuto la comunità. Nel complesso erano spesso dalla parte dei perdenti. E come se non bastasse, la gentrificazione ha sottratto loro le abitazioni economiche in cui vivevano. E nonostante ciò possiedono una dignità invidiabile. Sono per me un autentico modello di fede.
Sono un amante della libertà e credo che ogni essere umano sia stato dotato di libertà da Dio. Non vedo alcuna utilità nella violenza e nelle misure coercitive, perciò sono probabilmente “liberal”. Allo stesso tempo ho un’idea di quanto persone e animali in tutto il mondo soffrano gravemente a causa della nostra sfrenata cultura del consumo. La ricerca di un mondo giusto non mi abbandona. Ho quindi una teologia “social-liberale”? Se considero come modelli Huldrych Zwingli, Leonhard Ragaz o Dorothee Sölle non mi sembra poi così stravagante.
Per me è un luogo unico di forza spirituale. All’interno fa come da grotta, offre un senso di sicurezza. Nelle navate, nella cripta e nella cappella dei dodici apostoli mi sento protetto dal frenetico trambusto della città e dalle tante preoccupazioni del tempo, aperto a ciò che mi muove interiormente. Presumo che anche i numerosi turisti e ospiti sperimentino qualcosa di analogo in questi spazi. Da fuori l’edificio funge da simbolo del ruolo della chiesa nella vita pubblica, in particolare, ovviamente, le sue esclusive torri gemelle: non un grande faro in mezzo alla città a indicare “dove siede Dio”: due fari della stessa grandezza che invitano tutti e tutte a dialogare tra loro e con Dio. Vorrei attenermi al focus sulla “diaconia” stabilito dal mio predecessore Christoph Sigrist. Il Grossmünster è il centro spirituale della città soltanto se anche vi entrano e vi escono i diseredati.
Presumo che con “tradizioni” si intendano forme, eventi e modi espressivi consueti, vero?
Devo prima conoscerle. La tradizione più importante del Grossmünster è secondo me la Riforma, incarnata da Zwingli e Bullinger con il loro enorme coraggio di richiamarsi a Gesù e alla Bibbia e modificare le presunte “ovvietà”. Questa “tradizione” consiste nel rivedere forme, eventi e modi espressivi – con molto tatto. Zwingli era un maestro al riguardo e Bullinger aveva un’incredibile perseveranza. Nemmeno io rovescerò i tavoli come Gesù nel tempio. Ma il mondo gira molto velocemente in questo momento e anche noi al Grossmünster ne siamo toccati. Sono grato di essere parte di un collegio diversificato e molto competente come quello del Kirchenkreis 1. Insieme troveremo l’equilibrio!
Amo gli inni dell’innario riformato, in particolare quelli molto antichi e quelli difficili, composti tra le due guerre mondiali. Ne conosco alcuni a memoria, non per darmi delle arie, ma perché mi vanno dritto al cuore e mi toccano da qualche parte nel profondo. Anche nella nostra piccola famiglia coltiviamo questi inni, per esempio a tavola o a Natale. La musica di chiesa aiuta molte persone ad approfondire la propria spiritualità, a far risuonare in loro qualcosa che le parole non sono in grado di esprimere. Ma non mi aspetto che tutti sentano gli inni classici o la musica di chiesa. A molti manca l’abitudine al riguardo. Allora è necessaria altra musica o altra arte. Da giovane mi scatenavo con punk e metal. Ancora oggi associo a quei generi molte esperienze esistenziali. Al nostro Dio Creatore piace la varietà. Perché non la varietà musicale in chiesa e anche nel Grossmünster?
Troppi! Le guerre, la catastrofe climatica, la pandemia di depressione, le tante persone in cerca di protezione, l’odio dilagante… tutto questo mi preoccupa molto. Più di tutto, però, mi sta a cuore il “quarto mondo” in Svizzera, la povertà in uno dei paesi più ricchi in assoluto. Come possiamo fare in modo che le persone povere prendano parte alla società? Come possiamo prendere sul serio loro e la loro visione del mondo? Perché sono spesso donne? Bisogna davvero “combattere” la povertà? Se ne parla ancora troppo poco.
Rispetto ad associazioni, autorità o movimenti spontanei le chiese hanno molti compiti analoghi ma una dinamica completamente diversa. Si muovono talvolta con lentezza. In compenso possono chinarsi più a lungo sulle questioni. A livello di rappresentazione si muovono in modo diffuso. In compenso sono più indipendenti dallo Stato e dall’economia rispetto ai partiti e alle fondazioni. Chi è che si occupa da più di 50 anni di crisi climatica e parità tra uomini e donne senza trarne un qualsivoglia profitto? Chi difende i diritti umani dei sans-papiers indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa? Le chiese fanno spesso e in molti singoli casi proprio ciò che va fatto e cioè trattare le persone da esseri umani. Qualche volta sono le ONG e le autorità che dovrebbero imitarci.
È una domanda molto difficile. Io cerco di stabilire connessioni lì dov’è possibile: conosci questa cosa? L’hai già sperimentata? Che significato ha per te, dal tuo punto di vista? Ma non sempre funziona e allora cerco di essere onesto. Nel caso della dottrina dell’espiazione, per esempio, e cioè che Gesù è morto per i nostri peccati, divento esitante. In qualche modo il dogma non corrisponde davvero alle mie esperienze di fede. Ma non voglio semplicemente scartarlo soltanto perché io stesso non riesco a capire che cosa significa. Perciò preferisco essere esitante e cerco per me approcci alternativi alla morte sulla croce. Per esempio mi dico che Gesù ha conosciuto i tormenti e le umiliazioni più terribili e solidarizza quindi con i tanti torturati e agonizzanti. Non è una risposta definitiva. Relativamente a molti dogmi credo comunque che siano più importanti le domande delle risposte.
La chiesa necessita di buoni partenariati. Insieme con associazioni, fondazioni e collettivi laici possiamo avere voce in capitolo sulle questioni importanti della nostra epoca. Affinché ciò funzioni dobbiamo riconoscere che il nostro atteggiamento secolare di “funzionari religiosi” e “custodi della fede” è un bagaglio ormai marcio di cui dovremmo liberarci completamente. Viceversa, sottolineo spesso e volentieri che la nostra fede, il nostro impegno, le nostre competenze nel trattare con le persone e nell’affrontare le questioni esistenziali, la stabilità della nostra amministrazione e le nostre reti internazionali difficilmente potrebbero essere imitati da una ONG. La luce della chiesa non va posta sotto un secchio, ma deve risplendere per tutti e tutte. Se la chiesa offre qualcosa alle persone prima di chiedere loro qualcosa, allora c’è un futuro per essa.
Fu solo grazie alla nuova tecnologia dell’epoca, la stampa, che la Riforma prese il volo. Proprio noi riformati abbiamo quindi buoni motivi per abbracciare i nuovi media e partecipare agli sviluppi tecnologici. Allo stesso tempo l’IA, gli smartphone e i big data hanno la tendenza a non prendere più sul serio gli individui e i loro bisogni fisici. Le materie prime nel mio cellulare sono state probabilmente estratte a mani nude da qualcuno che percepisce un salario da fame! Dovremmo quindi occuparci e preoccuparci di ogni singola persona “analogica”, esigerlo a livello politico ed essere anche d’esempio in occasione dei nostri incontri, eventi e celebrazioni.
Con la partecipazione! E ciò significa mettere bambini, bambine e giovani al timone, creare opportunità affinché possano esprimersi e contribuire alla realizzazione di culti e eventi comunitari; significa prendere sul serio le loro opinioni anche quando sono scomode o fanno male. Anche correndo il rischio che facciano il contrario di quello che ci si aspetta o che rovinino qualcosa. Nella maggior parte dei casi – e ciò è sorprendente – dopo pochissimo tempo bambine, bambini e giovani scoprono dove si trova nella cucina della chiesa la porcellana che è opportuno preservare e quali sono invece i cocci che già da tempo andavano liquidati. Hanno chiaramente bisogno di un sostegno adeguato da parte di adulti preparati e nella maggior parte dei casi lo accettano di buon grado.
Fidarmi del prossimo. Credere in qualcuno sostiene la relazione con quella persona. E la relazione più solida della mia vita fino a oggi, al di là di tutte le altre relazioni importanti, è quella con Dio.
Il mio divano. Mi sostiene e mi accoglie. Mi ci sdraio con immenso piacere. Mi dispiace, forse è un po’ banale, ma io adoro questo mobile.
La giornata ha inizio con un caffè e si chiude con un libro. Il caffè lo finisco sempre, il libro sul comodino non riesco invece a finirlo, mi addormento troppo velocemente.
Con la mia piccola famiglia giriamo in bicicletta. Carichiamo tenda e stoviglie sulle bici e andiamo a zonzo per due o tre settimane. Pura libertà. Poi mi rilasso anche conversando, in particolare con mia moglie e qualche buon amico davanti a una birra o a un caffè a seconda dell’orario. E infine: sul divano. Come ho già detto, amo questo mobile.
È molto importante e ce n’è troppo poco. Ma non mi preoccupo, riscopriremo l’umorismo. Mi piace la definizione di Otto Julius Bierbaum: “L’umorismo è quando si ride nonostante tutto”. Se le persone continuano ad abbandonare la chiesa a questo ritmo, avremo ancora molto da ridere. Rideremo davvero “a crepapelle”. Mi perdoni la battuta.
Con le battute. Sa che cos’è verde e sta dietro la porta? Un’insalata che bussa (gioco di parole intraducibile tra Kopfsalat e Klopfsalat, ndt).
Kurt Cobain. Gli farei domande riguardo ai testi del suo quarto album e gli chiederei se avesse in mente una carriera da solista.
Genesi 1, 2b: “Lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. Nella Creazione c’è tutto ciò che amo del Dio biblico: movimento, serenità, relax, umorismo, fluidità, danza.
(trad.: G.M. Schmitt; adat.: G. Courtens)
Proponiamo in aggiunta questo reportage di qualche anno fa quando il pastore Christian Walti era operativo a Berna. Il servizio è andato in onda a "Segni dei Tempi" RSI La1.