Le organizzazioni pacifiste svizzere scettiche sul summit del Bürgenstock
Alla vigilia della Conferenza internazionale sulla pace in Ucraina, dove lo scorso finesettimana una novantina di delegazioni da tutto il mondo si sono incontrate sul Bürgenstock per parlare della guerra in Ucraina, l’agenzia stampa ref.ch si era rivolta ad alcune organizzazioni pacifiste svizzere, che tuttavia avevano espresso poco entusiasmo per come quella riunione ad altissimo livello era stata pensata: parliamo dello Schweizerischer Friedensrat (Consiglio svizzero per la pace - SFR), dell’Internationaler Versöhnungsbund der Schweiz, Movimento internazionale di riconciliazione (IFOR Svizzera) e di Frieda (ex Christlicher Friedensdienst, Servizio cristiano per la pace). Con la gentile concessione di ref.ch, Voce evangelica pubblica la traduzione di questo articolo, perché ritiene che - anche a conferenza conclusa - le osservazioni raccolte dal collega svizzero tedesco abbiano mantenuto la loro validità.
Jonathan Sissor, teologo ed ex membro del consiglio di amministrazione di IFOR, per esempio ha affermato: “Un vertice è lo strumento sbagliato per questi tempi”. Se la Svizzera intendeva svolgere un ruolo di mediatrice avrebbe dovuto prima chiarire l’oggetto delle trattative nel quadro di colloqui bilaterali con l’Ucraina e la Russia. Ma non è stato evidentemente il caso. Perciò la conferenza assomiglia piuttosto a un “evento di solidarietà” con l’Ucraina. Sisson ha indicato così il punto dolente della conferenza: si è svolta senza la partecipazione della Russia. Il paese ha categoricamente escluso già a monte della conferenza una sua partecipazione e perciò la Svizzera non l’ha nemmeno invitata. Il Consiglio federale stesso ha rimarcato che senza la Russia un processo di pace non è possibile. La ministra della difesa Viola Amherd ha espresso sui media la speranza che la Russia possa prendere parte a una conferenza di aggiornamento in un prossimo futuro.
Peter Weishaupt, direttore del Consiglio svizzero per la pace (SFR), ha messo in dubbio proprio questo: “Non credo che la Russia riconoscerà la Svizzera come mediatrice neutrale”. Dopotutto, due anni fa la Svizzera ha aderito alle sanzioni conto la Russia - scelta che Weishaupt, a differenza di altre organizzazioni pacifiste, approva. “Da allora la Russia ha inserito la Svizzera in un elenco di Stati ostili”, ha rimarcato, con la conseguenza che ora anche la Svizzera è continuamente vittima di cyber-attacchi russi.
Weishaupt sospetta pertanto che USA e Cina, in quanto maggiori sostenitori delle parti in conflitto, potrebbero avere più successo della Svizzera nell’indurre la Russia a trattare. Tuttavia nota da parte loro una mancanza di volontà al riguardo. “Allo stesso tempo la Russia non mostra alcun segnale di voler aderire a una qualsiasi iniziativa”, afferma. Alle organizzazioni pacifiste non resta attualmente molto altro da fare che insistere sul rispetto del diritto internazionale.
Andrea Nagele persegue un altro approccio. La direttrice dell’organizzazione pacifista Frieda chiede che la società civile degli Stati interessati venga coinvolta nelle trattative. Attori del tutto assenti al Bürgenstock. “Se la conferenza verterà su ulteriori armamenti, non sarà motivo di speranza per le popolazioni dei due paesi”, afferma Nagel. L’incentivo capitalista per questa guerra è ancora troppo grande. Lo dimostra il fatto che la Svizzera fornisce armi a Stati terzi. “Le armi non creano la pace, ma danneggiano le persone e l’ambiente per generazioni”, prosegue Nagel.
Anche Peter Weishaupt di SFR e Jonathan Sisson di IFOR raccomandano un maggiore coinvolgimento della società civile e delle ONG. Sisson propone in questo contesto una conferenza di pace della società civile. “Ce n’è stata una dopo l’invasione statunitense dell’Afghanistan”, afferma. “Sebbene non abbia posto fine alla guerra, ha contribuito molto alla ricostruzione del sistema educativo e al rafforzamento dei diritti delle donne”.
Cosa potrebbe ancora intraprendere la Svizzera? I rappresentanti delle tre organizzazioni sono concordi nell’affermare che la Svizzera è ben lontana dall’aver sfruttato ogni possibile mezzo a sua disposizione per agire a favore della pace. Potrebbe per esempio intensificare l’individuazione e il blocco dei patrimoni degli oligarchi russi, o tassare i profitti di guerra di imprese svizzere per devolvere quei fondi alla ricostruzione dell’Ucraina, o ancora porre fine alla produzione e all’esportazione di armi e offrire protezione agli obiettori di coscienza ucraini e russi. (pef)
(Da: ref.ch; trad.: G. M. Schmitt)