Il dibattito sull’iniziativa anti-burqa richiama l’attenzione sull'islam
L’immigrazione musulmana in Svizzera ha avuto inizio negli anni Sessanta del secolo scorso. Fino ad allora la popolazione musulmana era marginale e contava appena qualche centinaio di persone. Successivamente c’è stato un aumento, soprattutto tra il 1990 e il 2010. Da allora tende a stabilizzarsi. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), risalenti al 2019, il 5,5% dei residenti in Svizzera dai 15 anni di età in su, ossia circa 390.000 persone, si dichiara di confessione musulmana. Gli uomini sono in leggera maggioranza, il 53%.
Queste comunità sono caratterizzate in particolare da un’età media relativamente bassa. Infatti quasi la metà dei loro membri ha un’età compresa fra i 25 e i 44 anni. Tuttavia soltanto un terzo della popolazione svizzera nel suo insieme rientra in questa categoria (dati del 2018). Questa differenza si spiega con il fatto che la migrazione musulmana resta un fenomeno recente, indica il Centro svizzero islam e società (CSIS) dell’Università di Friburgo.
Gli anziani con 65 anni e oltre rappresentano soltanto una parte marginale dei musulmani (5,4%). Una quota che sale al 20% per la totalità dei residenti in Svizzera. Una differenza che il CSIS spiega con il ritorno di molti musulmani nel proprio paese d’origine una volta conclusa la loro vita professionale.
I paesi dei Balcani rappresentano attualmente la prima regione di provenienza. Ciò riguarda quasi 130.500 persone per il periodo 2014-2018. “Si tratta soprattutto di individui giunti in Svizzera come stagionali. La disgregazione della Jugoslavia ha spinto queste popolazioni a rifugiarsi in territorio elvetico”, ha spiegato Christophe Monnot, ricercatore presso l’Istituto di scienze sociali delle religioni dell’Università di Losanna, intervenuto al programma RTS "La Matinale".
Il ricercatore nota un cambiamento nei flussi migratori: “Negli anni Settanta del secolo scorso due terzi dei musulmani provenivano dalla Turchia”. L’esperto rileva anche un gran numero di naturalizzazioni all’interno delle comunità islamiche. Infatti il 35% dei musulmani sul suolo elvetico possiede oggi il passaporto con la croce bianca.
Le statistiche dell’UST mostrano inoltre che, tra le varie confessioni, i musulmani sono i meno praticanti. Quasi la metà di essi dichiara di non partecipare alle funzioni religiose e un quarto dice di prendervi parte da una a cinque volte all’anno. “Per la prima e la seconda generazione la religione è un fattore culturale importante che segna l’identità. Fa parte del pacchetto culturale. Ma non è perché si considerano musulmane che queste persone sono praticanti”, osserva Christophe Monnot.
A titolo di paragone, un cattolico su cinque non va in chiesa, mentre il 43% vi si reca almeno una volta all’anno. I dati sono analoghi per quanto riguarda i protestanti e altre comunità cristiane.
Le comunità islamiche in Svizzera rappresentano più correnti, di cui la principale è il sunnismo (85%). “È una corrente abbastanza classica e aperta, particolarmente maggioritaria nei Balcani e in Turchia”, chiarisce Christophe Monnot.
Si nota anche la presenza dal 7 al 10% di sciiti provenienti soprattutto dall’Iran e dall’Afghanistan, rileva lo CSIS, che stima in una decina il numero di moschee sciite presenti in Svizzera.
Esiste anche una piccola quota di aleviti. Meno conosciuti, appartengono a un movimento che si distingue dall’islam classico: “È una corrente mistica, liberale e molto politicizzata che in Turchia aderisce all’opposizione”, precisa Christophe Monnot.
Con il dibattito sull’iniziativa detta “anti-burqa” si pone la questione del fondamentalismo musulmano. Secondo gli esperti non vi sono dubbi che in Svizzera esista anche un islam intransigente. Sebbene non sia mai stata condotta un’indagine al riguardo, pare che i suoi seguaci siano tuttavia poco numerosi.
La Confederazione ha peraltro incaricato l’Università di Lucerna di studiare il salafismo, che è una delle correnti rigoriste dell’islam. Questo movimento fondamentalista – il più visibile in Svizzera – alimenta incomprensioni e paure. “Nel 19. secolo molte religioni hanno visto la comparsa al loro interno di correnti rigoriste, che si ritirano dalla società. Il salafismo è una di queste”, spiega Christophe Monnot.
La sociologa delle religioni Mallory Schneuwly Purdie aggiunge: “Lo stesso salafismo è pluralista. Ci sono persone salafite impegnate che cercano di applicare alla lettera i vari comandamenti del Corano. Ci sono poi salafiti più politicizzati che cercano di usare gli strumenti della democrazia per far valere i diritti dei musulmani che ritengono violati”. Esiste inoltre un terzo tipo di salafismo, secondo la sociologa: “È quello dei cosiddetti salafiti jihadisti, che invocano una forma di rivoluzione e che non hanno problemi a usare la violenza per affermare la propria causa”.
Mallory Schneuwly Purdie e Christophe Monnot insistono: “Non c’è un terrorista latente dietro ogni salafita. Anche se certi individui in Svizzera trovano tuttavia in questo movimento le basi ideologiche per la jihad armata”.
Da diversi anni la sociologa delle religioni Mallory Schneuwly Purdie studia la popolazione musulmana in Svizzera. Dice di osservare una progressione del movimento salafita.
“Da quando frequento associazioni e moschee noto la presenza di diversi gruppuscoli che gravitano intorno ad alcune moschee. Si tratta di appartenenti a correnti fondamentaliste che hanno cominciato a emergere intorno al 2010 e che ora diventano sempre più frequenti”. (da RTS online; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)