Nel canton Vaud e a Ginevra le donne protestanti votano da oltre un secolo
Cinquant'anni fa le donne svizzere hanno ottenuto il diritto di voto. Si tratta certamente di un traguardo degno di essere celebrato, sebbene susciti anche un certo imbarazzo, considerando quanto a lungo abbiano dovuto attendere le donne elvetiche per poterlo raggiungere.
Detto questo, c'è anche un altro anniversario da ricordare: oltre 110 anni fa, nei cantoni di Vaud e di Ginevra, le donne protestanti hanno ottenuto il diritto di voto in ambito ecclesiastico. In quelle chiese, come pure nelle altre chiese riformate cantonali, non era ancora riconosciuto il pastorato femminile - le prime donne (Rosa Gutknecht ed Elise Pfister, ndr.) furono consacrate a Zurigo nel 1918 - ma esse svolsero un ruolo pionieristico ed ebbero un certo peso, seppure non determinante, nel contribuire al processo che portò le donne ad avere finalmente accesso al suffragio politico, nel 1971. La teologa Lauriane Savoy ripercorre quelle pagine di storia del protestantesimo della Svizzera romanda e ricorda come in quella circostanza le chiese furono capaci di anticipare la politica.
Che cosa ha spinto la Chiesa riformata, più di un secolo fa, a dare il diritto di voto alle donne?
Furono le Chiese evangeliche libere di Ginevra e di Vaud a concedere per prime il suffragio ecclesiastico alle donne e ad aprire la discussione sulla possibilità di una loro eleggibilità all'interno della chiesa. Quella decisione creò una certa pressione sulle chiese riformate cantonali, le quali, pochi anni dopo introdussero a loro volta il suffragio femminile in materia ecclesiastica. La Chiesa riformata vodese approvò il suffragio femminile nel 1908, quella di Ginevra due anni più tardi, nel 1910. Non dimentichiamo che già nel 1904 la Conferenza delle Chiese riformate in Svizzera aveva raccomandato alle chiese cantonali di permettere alle donne di votare.
Il movimento del cristianesimo sociale, emerso dopo la rivoluzione industriale, ha contribuito a promuovere questi cambiamenti?
Sì, alcune personalità appartenenti a quel movimento hanno avuto un certo influsso. Un buon esempio è Charles Secrétan, un bibliotecario del Canton Vaud, avvocato e professore di filosofia all'università. Nel 1885 pubblicò un libro intitolato "Le droit de la femme", in cui prese posizione a favore del suffragio femminile. Era un protestante rispettato, un accademico, vicino al cristianesimo sociale. Quel libro, come altre opere di intellettuali dell'epoca, ha contribuito a formare la mentalità della borghesia urbana protestante.
Si può affermare che i protestanti abbiano preparato il terreno per l'introduzione del suffragio femminile?
Sì, già a partire dal 1920 donne pastore cominciarono a parlare ai congressi suffragisti o alle conferenze organizzate per promuovere il suffragio politico femminile. L'obiettivo era quello di dimostrare che le donne erano in grado di parlare in pubblico e di prendere parte ai dibattiti sociali. La prima pastora a Ginevra, Marcelle Bard, era una suffragista, come sua madre. La nota suffragetta protestante ginevrina, Emilie Gourd, ebbe stretti legami con la chiesa protestante e promosse attivamente l'estensione dei diritti delle donne nella chiesa tramite la rivista mensile che dirigeva, Le Mouvement féministe. Molte suffragiste, soprattutto nella Svizzera francese, erano di fede protestante: le ginevrine Pauline Chaponnière-Chaix e Camille Vidart, e le vodesi Lucy Dutoit ed Elisa Serment. (Ritratti di donne che si sono battute per il suffragio femminile)
Perché il suffragio femminile è stato introdotto prima nelle chiese che nell'ambito politico?
Si possono fare diverse ipotesi. Forse gli uomini hanno approvato prima il suffragio ecclesiastico femminile perché le donne erano più interessate di loro alle questioni religiose ed erano più osservanti. Forse per questo motivo era più facile, per gli uomini, accettare che le donne prendessero parte alla vita della chiesa. Non bisogna tuttavia dimenticare che il suffragio femminile, nelle chiese, venne introdotto per gradi: dapprima il diritto di voto, poi il diritto di essere elette nei consigli parrocchiali, poi nei sinodi. Diverso invece il discorso per quanto riguarda la sfera politica. Credo che il motivo vada ricercato nella concezione che gli uomini avevano della politica, ritenuta un ambito prettamente maschile. La politica ha conservato a lungo un certo prestigio sociale che gli uomini non volevano cedere o condividere con le donne.
Le chiese hanno sostenuto il diritto di voto politico delle donne?
Le chiese, compresa la Chiesa cattolica, hanno fatto campagna per il suffragio politico delle donne prima del Partito Radicale o di altri partiti di destra. Ma sono stati piuttosto i vescovi o i pastori che hanno preso posizione, a titolo personale. Sul risultato della consultazione del 7 febbraio 1971 ha inoltre probabilmente influito lo slancio generato dal Concilio Vaticano II che ha rappresentato un momento di apertura della Chiesa cattolica ai laici e alle donne.
Il cristianesimo ha dunque incoraggiato l'emancipazione delle donne a partire dal 20.esimo secolo?
Non è così semplice. Le donne cattoliche, ad esempio, non hanno ancora accesso né al sacerdozio né a ruoli decisionali nella loro chiesa. Ma ci sono stati momenti in cui il cristianesimo è stato in grado di accelerare il processo di emancipazione femminile, in particolare quando ha voluto sostenere la formazione delle ragazze a partire dal 16.esimo secolo. Lo vediamo anche con i movimenti della teologia della liberazione o della teologia femminista. Il cristianesimo ha dunque generato delle grandi spinte a favore dell'emancipazione degli individui oppressi, siano essi minoranze etniche, poveri o donne.
Le chiese protestanti, che pure sono state precursore dell'introduzione del suffragio femminile, e che hanno introdotto il pastorato femminile, possono e devono ancora lavorare per migliorare la condizione delle donne?
Sì, sostenendo una maggiore uguaglianza nei rapporti di lavoro, per esempio promuovendo un congedo di paternità più lungo. Ancora oggi, è più difficile essere una giovane pastora che un giovane pastore, perché quando una pastora arriva in una nuova comunità, ci si chiede se vorrà avere presto dei figli e se dovrà essere sostituita durante la sua maternità. In alcune regioni ci sono compagini pastorali composte solo da uomini, in altre alle pastore vengono affidati solo compiti legati alla cura dei bambini o all'accompagnamento delle persone sole o dei malati. Quindi spetta alla chiesa essere proattiva e continuare a dare l'esempio, come ha fatto più di cento anni fa. (da Réformés, trad. it. e adat. P. Tognina)