Le comunità di fede possono mediare tra i cittadini e le istituzioni
(Luisa Nitti) Le dimissioni del primo ministro Saad Hariri, conseguenti alle proteste popolari, rendono incerto l’immediato futuro e gli equilibri politici del Libano. Il paese accoglie una grande pluralità religiosa e vive una difficile crisi economica e politica: il debito pubblico oltre il 150% e grandi disparità economiche: l’1% della popolazione detiene oggi il 25% dell’intero reddito nazionale. Abbiamo raggiunto Souraya Bechealany, cristiana maronita, segretaria generale del Consiglio delle chiese del Medio Oriente, che in questi giorni guarda con attenzione a quanto sta accadendo in Libano.
La scorsa settimana abbiamo visto le immagini della catena umana organizzata dai cittadini a sostegno di chi protesta contro povertà, disparità economiche, pesante corruzione delle istituzioni. Come ha interpretato lei quella manifestazione?
La catena umana è un’iniziativa intrapresa dai libanesi per affermare che questo popolo vuole vivere unito e in pace, indipendentemente dall’appartenenza religiosa o politica. Ma questa non è la sola iniziativa: in questi giorni ci sono state molte altre manifestazioni simili in Libano.
Souraya Bechealany, il Consiglio delle chiese del Medio Oriente, come si pone di fronte a questa ondata di manifestazioni e proteste?
Il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente è innanzitutto un’istituzione ecclesiastica, non è una ong e ciò significa che i presidenti del Consiglio sono i patriarchi e i pastori evangelici, riformati e anglicani. Inoltre è un’istituzione regionale, non soltanto libanese. Come segretario generale intendo promuovere la difesa della dignità umana in tutto il Medio Oriente, non prendo parte a iniziative locali: perché dovrei scendere in piazza a Beirut e non ad esempio a Damasco o a Bagdad?
Le nostre prese di posizione ufficiali, come si può evincere anche dal nostro sito internet, riguardano tutti i paesi dell’area: Iraq, Siria, Terra Santa, Cipro, Egitto. Noi abbiamo un chiaro obiettivo: sostenere e difendere la dignità umana, la convivenza pacifica, il diritto alla libertà. Ma è la libertà di coscienza quella a cui guardiamo, un concetto che proviene dal Concilio Vaticano II. Non semplicemente la libertà di religione, ma la libertà di coscienza. Vale a dire la libertà di credere o non credere. Noi, come Consiglio, difendiamo la libertà e la dignità umana, ovunque.
Il Libano è un paese democratico in cui convivono, come in un complesso puzzle, numerose e antiche comunità di fede. Qual è il ruolo di un paese come il Libano nel contesto del Medio Oriente?
La costituzione libanese afferma che la nostra è una repubblica democratica. Che il Libano resti democratico, è fondamentale per tutto il Medio Oriente. Le persone che scendono in piazza in questi giorni possono dire liberamente ciò che pensano ed esercitare il proprio essere cittadini senza venire uccisi: e la cosa più importante è che ciò accada a Beirut.
In secondo luogo: perché si tratta di manifestazioni pacifiche? Perché i libanesi non cercano né di distruggere il proprio paese, né di distruggere se stessi. Quello che i cittadini intendono dire è che non vogliono più essere divisi a causa dei partiti politici, o dell’appartenenza religiosa, vogliamo invece restare uniti per costruire un paese libero. E soprattutto, la rivolta dei cittadini libanesi si rivolge contro i deputati e i ministri che non esercitano il potere come invece dovrebbero.
In definitiva, che cosa sta accadendo nel paese? Qual è la sua lettura?
I grandi temi al centro delle proteste sono l’ingiustizia, la povertà, l’intervento da parte di forze internazionali contro la volontà dei libanesi - come se i libanesi non fossero in grado di decidere in autonomia per loro stessi. I manifestanti affermano che il Libano, pur essendo un paese piccolo, deve essere rispettato.
E poi c'è il grande tema della corruzione della classe dirigente. Agli eletti, il popolo libanese dice: vi abbiamo eletto e voi ci avete rubato il nostro paese, siete corrotti, avete svuotato le casse, e prendete decisioni politiche locali e internazionali che non ci rappresentano.
Il Consiglio delle chiese del Medio Oriente - che ha sede proprio in Libano - osserva con attenzione l’evolversi del movimento popolare, con i suoi difficili equilibri. Come vi ponete di fronte a chi non condivide la protesta?
Alcuni libanesi non sono scesi in strada e non sono d’accordo con quello che sta accadendo. È un loro diritto non manifestare, e queste persone vanno rispettate. Il MECC non prende posizione per una parte contro l’altra, ma afferma: salviamo la dignità e combattiamo la corruzione, che mina alla base la forza che rappresentano gli uomini e le donne in tutto il Medio Oriente.
I leader religiosi chiedono che il paese continui ad essere uno spazio di convivenza. Anche il Consiglio ecumenico delle Chiese auspica che il paese vada verso soluzioni pacifiche e condivise, perché i libanesi, con le loro proteste, non chiedono altro che giustizia...
Certamente i leader cristiani hanno un ruolo da giocare in questa situazione. Ma non nella politica, perché in Medio Oriente i leader religiosi dovrebbero uscire dalla sfera politica. Le chiese hanno un ruolo da svolgere a livello di buone pratiche. In altre parole, le chiese e tutte le istituzioni religiose, dovrebbero lavorare insieme per promuovere valori umani comuni, ispirati dalle rispettive convinzioni di fede. I leader religiosi non sono presidenti o ministri, ma possono ispirare i valori di una nazione.
Le dichiarazioni diffuse in queste settimane mostrano come dovrebbero lavorare i leader religiosi: devono mediare, senza prendere parte alle manifestazioni, devono mostrare che cosa sia la vera democrazia, come vadano rispettati i valori umani e il diritto alla cittadinanza. Alla popolazione i leader religiosi hanno chiesto di manifestare in modo rispettoso e ai governanti di ascoltare ciò che il popolo chiede, perché è il popolo che ha l’ultima parola in una società democratica. In questo senso, i leader religiosi stanno giocando un ruolo positivo nella crisi libanese.