Una domanda semplice, ma che da sempre suscita vivaci dibattiti
(Vincent Bourquin) Una delle tappe della preparazione del Natale - insieme alla lista dei regali, alla preparazione dei biscotti, all'appendere ghirlande luminose, alla confezione della corona dell'avvento -, è l'interrogarsi sulla nascita di Gesù, in particolare l'interessarsi alla condizione di Maria. La domanda si ripresenta: Maria era vergine?
Il nocciolo della questione
L'articolo di fede secondo cui Gesù “fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine” fa parte del Credo apostolico, la più antica confessione di fede comune alle chiese cattoliche e protestanti. Sembrerebbe tuttavia difficile domandare a ogni cristiano di credere a questo intervento dello Spirito Santo nelle ovaie di Maria.
La storia conserva invece un senso spirituale: l'evento del Vangelo non è scatenato da una volontà umana, ma dalla sola iniziativa dello Spirito Santo. Questo fatto inatteso annuncia il rinnovamento dell'umanità nella fede. La fede, per il cristiano, non è soltanto credere che Dio esiste, ma che ci visita, che il suo destino si lega al nostro. Cristo nasce nel più profondo di noi stessi così come è nato in Maria. In fondo è questo il senso del Natale.
Una domanda moderna
Dove finisce il mito e inizia la realtà? Se la nascita verginale è un'invenzione, che dire degli altri aspetti soprannaturali della vita di Gesù? I suoi svariati miracoli, i suoi segni, le sue parole ispirate, la sua relazione intima con Dio, la sua trasfigurazione e, soprattutto, la sua resurrezione hanno soltanto un valore simbolico? Privata di questo alone divino, la vita di Gesù mantiene la sua portata per la fede cristiana? Alcuni teologi contemporanei, a cominciare dal tedesco Rudolf Bultmann, sostengono di sì. Secondo loro è possibile essere credenti demitizzando al contempo i testi biblici.
L'opinione dell'esperto
Valérie Nicolet Anderson, docente di Nuovo Testamento all’Istituto protestante di Teologia di Parigi, sottolinea che i vangeli canonici - Matteo, Marco, Luca e Giovanni, ndr. - sono discreti in quanto alla verginità di Maria. Per Marco e per Giovanni la verginità non ha alcun ruolo. Matteo lascia la porta aperta alla possibilità della verginità della madre di Gesù, ma presenta Maria principalmente come uno strumento del piano divino, attraverso il quale si compie l'arrivo del Messia. Per Luca, Maria è l'umile serva scelta da Dio per portare il Cristo. Ella incarna una convinzione fondamentale: l'irruzione del regno di Dio nel mondo rimette in discussione tutti i privilegi sociali. Luca e Giovanni presentano Maria come una discepola perplessa in quanto all'identità e alla missione di Gesù. Nei vangeli Maria non viene idealizzata; non è venerata né in quanto madre di Gesù né in quanto vergine. La verginità di Maria non è inscritta nei vangeli canonici.
Un dogma tardivo
Il Protovangelo di Giacomo, uno scritto apocrifo cristiano della fine del II secolo, insiste sulla verginità di Maria, prima del concepimento di Gesù, durante la nascita e dopo la nascita. Il dogma della verginità si sviluppa specialmente a partire da questo scritto, come esemplificato da un concilio di Toledo nel 693, che afferma la verginità perpetua di Maria. La verginità di Maria e l'idolatria nei confronti di Maria come figura della serva perfetta possono portare a una svalorizzazione della donna che reprime la propria sessualità e si inscrive in maniera passiva nel piano divino patriarcale. Le teologie femministe si riappropriano di Maria come una figura attiva, una delle prime discepole di Gesù. Al di là del suo ruolo di ricettacolo passivo, Maria è riabilitata dalla sua risposta attiva nella fede alla chiamata di Dio.