Politiche femministe di pace, ieri e oggi. Con l'antropologa Annemarie Sancar
(ve/gc) Il prossimo 30 marzo ricorre il centocinquantenario della nascita della pacifista e femminista Clara Ragaz-Nadig (1874-1957). La grigionese trapiantata a Zurigo, moglie del teologo riformato ed esponente del "socialismo religioso" Leonhard Ragaz (1868-1945), fu un’instancabile combattente per la pace, un’imperterrita costruttrice di speranza, una tessitrice di relazioni, sia a livello locale che nazionale ed internazionale. Il mensile Neue Wege (rivista fondata nel 1906 da suo marito), le ha dedicato il primo numero dell’anno con il titolo: “Sperare. Lottare. Amare. 150 anni Clara Ragaz”, con numerosi articoli ed approfondimenti. Pubblichiamo di seguito il saggio a firma dell’antropologa Annemarie Sancar, tra gli articoli proposti da Neue Wege, che ci sembrava particolarmente interessante, perché getta un ponte tra le politiche femministe di pace di Clara Ragaz e quelle odierne.
L'autrice del contributo che segue, Annemarie Sancar (67), ha lavorato per Frieda, l’organizzazione femminista per la pace (già cdf), nelle pubbliche relazioni e nella promozione della pace; per dieci anni è stata responsabile per la parità di genere alla DSC; per due anni ha lavorato per swisspeace, Fondazione svizzera per la pace, occupandosi dell’attuazione della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU “Donne, pace e sicurezza”. Negli ultimi tre anni ha coordinato la rete femminista FriedensFrauen Weltweit (Donne di pace nel mondo). È impegnata a livello transnazionale in reti femministe specializzate nella politica di pace e nella parità di genere.
L’attualità del pensiero e attivismo di Clara Ragaz, nata 150 anni fa
Clara Ragaz ha conosciuto due guerre mondiali. Profondamente scossa da quelle esperienze perseguì instancabilmente una politica di pace femminista. I suoi approcci sono straordinariamente - e spaventosamente - di attualità.
In questo saggio cerco di spiegare i parallelismi - ma anche le differenze - tra le politiche femministe di pace di Clara Ragaz e quelle odierne. Mi interessa la riflessione di Clara Ragaz su guerra e pace, sul ruolo delle donne nel movimento pacifista e sull’importanza dell’ordinamento economico per una coesistenza pacifica, ma mi interessa anche il suo approccio nel tentativo di conseguire i suoi obiettivi. E oggi? A che punto siamo? Che cos’è cambiato? Che cos’è rimasto uguale? Sono domande attuali: quali ostacoli incontrano pacifisti, scienziati, medici e politici, uomini e donne, che in tutto il mondo sono impegnati contro la militarizzazione, il riarmo e la violenza, a favore di una coesistenza pacifica e nonviolenta? Che cosa abbiamo appreso da Clara Ragaz e da altre come lei? Dove dovremmo porre oggi l’accento nella costruzione femminista della pace?
Indipendenza dall’uomo
Clara Ragaz era attenta al ruolo delle donne nei processi sociali, ma anche alle loro capacità di esercitare pressione al fine di migliorare le proprie condizioni di vita. È interessata alle differenze di genere relativamente ai modi di pensare e di agire e all’influenza che queste potrebbero avere sulle politiche di pace. La pacifista Clara Ragaz scrive già nel 1915 che la differenza tra donna e uomo spiega in parte i loro rispettivi comportamenti sia in guerra, che in pace, ma prende le distanze da una motivazione biologica univoca (1). Per Clara Ragaz il primo imperativo resta l’umanità. In questo senso è incorruttibile la sua fede nel bene. L’assenza di diritti politici delle donne era vista da Clara Ragaz come un importante motivo di rassegnazione delle donne. Le donne hanno accettato troppo alla leggera un ordinamento sociale in cui l’uomo stabilisce ciò che è giusto. Ciò deve cambiare, affinché il potenziale di pace delle donne acquisisca efficacia.
Oltre i luoghi comuni
Ma sono sufficienti i diritti politici? Clara Ragaz adotta una posizione inequivocabile per quanto riguarda il ruolo dell’economia nelle politiche di pace. È convinta che il sistema economico dominante non possa soddisfare i requisiti per l’approvvigionamento dei beni necessari per tutti e, quindi, nemmeno la coesistenza pacifica. Questo deve cambiare radicalmente se si vuole che la pace sia possibile. La parità di genere è uno dei requisiti fondamentali per la pace, ma in condizioni capitalistiche viene piuttosto ostacolata. Clara Ragaz va oltre i luoghi comuni, identifica i punti problematici e analizza il contesto: partendo dai bassi salari, mantenuti bassi per impedire il desiderio di qualcosa di più, critica l’aumento indiscusso delle spese militari. Le spese militari sono volte alla distruzione di esseri umani e beni, tuttavia vengono fatte passare come misure per preservare l’esistenza di un popolo.
Pace, giustizia, libertà
Le esperienze in diverse reti di donne in Svizzera, in particolare nel movimento per il diritto al voto e i suoi contatti internazionali, portarono Clara Ragaz al Consiglio internazionale delle donne (ICW), precursore della Lega internazionale delle donne per la pace e per la libertà (WILPF) (2). Già nel 1915 ne fonda la sezione svizzera con la chimica Gertrud Woker. Nel 1919 organizza la conferenza internazionale delle donne per la pace a Zurigo, nella quale le donne tornano a radunarsi per la prima volta dopo la prima guerra mondiale: sopra ogni cosa sono posti i valori fondamentali della giustizia e della libertà. A questo congresso l’organizzazione adotta il nome che conserva tutt’oggi: WILPF (3).
Clara Ragaz continua a intrattenere buoni rapporti con l’attivista statunitense Jane Addams, che la introduce al concetto dei cosiddetti settlements, centri comunitari che hanno come obiettivo la formazione delle lavoratrici: la scoperta di questo concetto abitativo porta Clara Ragaz alla decisione di trasferirsi nel quartiere zurighese di Aussersihl per svilupparvi attività di emancipazione vicino alla classe operaia.
“Glocal” ante litteram
Quindi, nel 1922, muovendo dal concetto di settlement, Clara Ragaz e suo marito, il professore di teologia Leonhard Ragaz, comprano casa alla Gartenhofstrasse 7 nell'Aussersihl, tipico quartiere operaio di Zurigo, dove si manifestano in modo particolarmente eloquente gli effetti dell’industrializzazione (4). Ricavano così la conoscenza delle condizioni operaie non dalla teoria, bensì dalla propria esperienza diretta… Sperano di ottenere una percezione inequivocabile della vita quotidiana delle persone, in modo da poter poi offrire un sostegno mirato. La visione era chiara: intendevano migliorare la condizione di operaie e operai in fabbrica e a casa, per rafforzarne la posizione pubblica e la consapevolezza di essere persone con diritti.
Clara Ragaz attribuisce la miseria alla privazione dei diritti e al mancato accesso all’istruzione. Si domanda se la situazione migliorerebbe, e se la pace avrebbe maggiori possibilità, se soltanto le donne godessero dei diritti politici. Tenuto conto della complessità della situazione, la quale si manifesta nello sfruttamento degli operai e delle operaie, nella concentrazione della ricchezza, nella brama di potere di un numero ristretto di capitalisti, decide di optare per una combinazione di attività: impegno sociale per le operaie (lavoro sociale), diritto di voto per le donne (lavoro politico) e il movimento internazionale per la pace (lavoro in rete).
"Il mondo odierno si basa sul potere e sulla forza; cerca sicurezza negli armamenti e non in un ordinamento giuridico”, affermava Clara Ragaz domandandosi: “quale ruolo hanno nello scoppio delle guerre i fattori economici, la richiesta di risorse minerarie, di materie prime, l’accesso alle vie d’acqua?” (5). Il lavoro per la pace, di questo è convinta, deve tenere conto dei contesti più ampi se intende essere efficace. Le richieste della Conferenza delle donne per la pace del 1919 sono attuali ancora oggi: disarmo universale, divieto di armi chimiche, una Società delle Nazioni per contrastare il nazionalismo e il conseguente sostrato di ideologie bellicistiche.
Politiche femministe di pace ieri e oggi
Una buona istruzione per tutti e tutte, una collettività che si preoccupi delle persone, un’economia tesa al benessere di tutti e tutte, disarmo totale e smilitarizzazione sono per Clara Ragaz prerequisiti per la giustizia sociale, la parità e la pace. La vicinanza alla vita quotidiana delle persone e le relazioni internazionali sono importanti punti di partenza per la sua attività. Le conseguenze concrete dello sfruttamento economico sono chiaramente visibili già all’epoca. Allo stesso tempo la sua rete transnazionale le concede uno sguardo approfondito sull’economia di guerra, sul riarmo e sul rapido sviluppo di armi chimiche, sulle tecnologie negli ambiti della comunicazione, della sorveglianza e della guerra. Clara Ragaz usò la sua vasta rete per mobilitare le donne, affinché si impegnassero politicamente per la parità e per la pace, obiettivo che appariva particolarmente pressante dopo la prima guerra mondiale.
Come inquadrare oggi le politiche femministe per la pace? Ci sono punti convergenti con l’impegno di Clara Ragaz? La combinazione di “lavoro alla base” con persone prive di diritti, in particolare donne di ceto basso, da un lato, e gli sforzi di pace internazionali che pongono in evidenza le ampie interconnessioni e le cause strutturali della violenza e della guerra, dall’altro, ecco, questa combinazione preoccupa ancora oggi le politiche di pace femministe. Nonostante la comunicazione agevolata e la conoscenza globalizzata - per esempio sugli sviluppi dell’industria degli armamenti nel mondo - oggi non siamo molto più avanti. Uno sguardo all’attuale contesto sociopolitico ed economico fornisce sicuramente qualche spiegazione in merito agli insuccessi delle politiche di pace: nel discorso dei potenti la pace e la guerra sono legati. La guerra è vista come opportunità per instaurare la pace. Ciò significa anche legittimare gli armamenti, perpetuare i ruoli, incoraggiare gli appassionati di armi o i capitalisti delle armi.
Contro tutto ciò si levano con veemenza le politiche femministe di pace, che propugnano una pace possibile soltanto con la sicurezza globale di una società della cura. Dal punto di vista odierno le convinzioni e le conoscenze di Clara Ragaz - nello specifico sul rapporto dialettico tra sviluppo economico e costruzione della pace - sono particolarmente illuminanti.
Non si è mai investito così tanto negli armamenti come negli ultimi anni. Come si legge nel rapporto annuale 2023 del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), le spese militari nel mondo sono cresciute per l’ottavo anno consecutivo toccando nel 2022 una somma stimata in 2.240 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato dal SIPRI. In media le spese militari ammontano al 6,2% del bilancio di tutti i governi.
Sicurezza VS economia della cura?
Perché è così difficile dar seguito alle esigenze di disarmo e di sicurezza senza il ricorso alla violenza delle armi? Anche nel movimento pacifista odierno si dà troppo poco rilievo all’economia globalizzata e il dibattito femminista ha difficoltà a pensare sistematicamente insieme i rapporti di potere economici e la politica di pace. L’organizzazione antimilitarista GSsE (Gruppo per una Svizzera senza esercito) cerca da molti anni di porre con maggior forza l’accento sulla massimizzazione dei profitti dell’industria bellica. Tuttavia, i filoni della discussione continuano a restare separati e sono gli esperti militari a stabilire cosadobbiamo intendere con il termine “sicurezza”. Alla sicurezza militare, tesa alla garanzia della sicurezza nazionale attraverso la protezione dal nemico esterno, si contrappongono i diritti umani, e quindi una politica sociale che vede la sicurezza come “servizio agli altri”, un ambito dai costi elevati e dagli scarsi profitti. Si preferisce investire in settori lucrativi piuttosto che nell’economia della cura, che in termini di costi è diventata sempre più cara, senza tuttavia generare profitti rilevanti per il mercato (6). Oggi osserviamo altresì, che militarizzazione e riarmo promettono profitti decisamente più elevati rispetto alle politiche volte al benessere sociale di tutti e tutte. A tutt’oggi le politiche di pace non hanno trovato la via d’uscita da questo dilemma e ci si domanda chi possa essere interessato alla pace nel senso inteso da Clara Ragaz.
La politica di pace femminista
Le condizioni sociali, economiche e politiche sono sicuramente cambiate dai tempi dell’attivismo di Clara Ragaz. Il mercato è più globalizzato e veloce, è deregolato non soltanto il settore privato, ma anche quello dei servizi pubblici. Rendimento, massimizzazione dei profitti e crescita sono determinanti. Un mercato del lavoro globalizzato permette di riequilibrare molte cose a vantaggio dell’economia, ma incoraggia altresì una politica di chiusura razzista e nazionalista. Ad avere la meglio sono l’industria bellica e il settore della sorveglianza, così come il mercato delle materie prime. La sicurezza sembra possibile soltanto con le armi. La sicurezza sociale e la sicurezza nella vita di tutti i giorni sono secondarie. Clara Ragaz è convinta esattamente del contrario: quando la sicurezza di tutti e tutte è garantita, la guerra non è necessaria e il disarmo diventa finalmente possibile. Oggi le pacifiste femministe formulano così il concetto: “Il lavoro di cura è tra le più elementari forme di partecipazione sociale. Viene svolto principalmente da donne, che in tal modo tengono unito il tessuto sociale e contribuiscono quotidianamente al nostro senso di sicurezza. Per una forma di pace che tenga conto della parità di genere dobbiamo riconoscere il lavoro di cura come un mezzo per promuovere la pace, e pertanto andrebbe distribuito più equamente. Quanto migliori sono le condizioni in cui viene fornito, tanto più spezziamo le strutture della violenza” (7).
I valori della "Kinderstube"
La nozione di “lavoro di cura” non esisteva ai tempi di Clara Ragaz, che vi è però andata molto vicino ricorrendo alla nozione della “Kinderstube”, la camera dei bambini, o meglio: il focolare domestico. Nel testo della conferenza “Die Frau und der Friede” (“La donna e la pace”) scrive: “O quello che dobbiamo insegnare ai bambini - la bontà, la gentilezza, l’amore, la fiducia, la generosità, la fedeltà, la veracità - vale anche in seguito nella vita e nella convivenza, oppure non ha molto valore nemmeno detto intorno al focolare; perché i bambini saranno presto troppo cresciuti per la ‘camera dei bambini’, e cosa dovranno farsene di questi ‘ideali del focolare’ che nella lotta quotidiana saranno loro soltanto di ostacolo?”. Come da lei stessa riconosciuto, poter svolgere un lavoro di cura in buone condizioni - effettuato principalmente a domicilio da donne non retribuite - è un pilastro centrale delle politiche di pace. La pace è possibile soltanto quando il lavoro di cura può aver luogo in buone condizioni e quando non sottrae alle donne tutto il loro tempo. Ciò resta vero anche oggi. “Il lavoro di cura e di assistenza offre quindi quotidianamente il collante che tiene insieme la società. In quanto tale il lavoro di cura è un insostituibile lavoro di costruzione della pace. Eppure, è un dato di fatto che la maggior parte di chi presta cure, è esposta all’insicurezza sociale ed economica. Anzi, sono sistematicamente ignorati negli ambiti decisionali. Finché la maggior parte del lavoro di cura sarà subappaltato alle donne, ogni impegno a favore della partecipazione delle donne resterà lettera morta” (8).
Il lavoro di cura negletto
La politica di pace femminista fa oggi riferimento alla risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU adottata nel 2000. In essa si afferma che la pace è possibile soltanto se le donne partecipano ai processi decisionali politici su un piano di parità. La Svizzera persegue questo obiettivo instancabilmente, ma piuttosto ai margini, dove si prendono decisioni minori su singoli progetti di prevenzione della violenza o di promozione della parità di genere e dove vengono alleviate le condizioni di necessità delle donne. Nelle grandi decisioni di bilancio, invece, le esigenze in materia di cura non vengono quasi prese in considerazione, le condizioni del lavoro di cura quotidiano non vengono migliorate e il carico quotidiano delle donne non viene compensato dalle istituzioni - nonostante l’introduzione, dal dopoguerra in poi, di misure a favore di una nuova politica di parità di genere in ambito economico e di sviluppo.
È cresciuto il divario tra l’economia di mercato e le attività non mercificabili nel settore delle cure? Clara Ragaz difficilmente poteva prevedere come la deregolamentazione e la flessibilizzazione postfordiste avrebbero fatto perdere di vista il lavoro di cura, lasciando alla famiglia, quindi in massima parte alle donne, ciò che non può essere monetizzato. Ma per Clara Ragaz già all’epoca era chiaro che per cambiare le cose in meglio era necessario che le attività di cura si potessero svolgere in condizioni migliori, e che alle donne fosse lasciato più tempo per la formazione e la partecipazione alla vita pubblica: “Penso oggi all’enorme ingiustizia del mancato rispetto della donna, che si manifesta in cento forme diverse, nello sfruttamento senza scrupoli della loro forza lavoro, nella sottovalutazione del loro rendimento lavorativo, nella privazione dei diritti pubblici” (9).
Guardare all’oggi
Che cosa c’è di nuovo nell’attuale dibattito? Dobbiamo chiedercelo in modo critico. Clara Ragaz già sapeva che guerra equivale a distruzione e che ogni arma è mortale, che la violenza delle armi rafforza valori e ruoli patriarcali. Le pacifiste femministe sono quasi unanime nel sostenere queste prese di posizione. Come allora, quando ai tempi della seconda guerra mondiale la socialdemocrazia, contagiata dall’euforia della guerra, cambiò la propria posizione nei confronti delle armi - fu questa la ragione che indusse Clara Ragaz a uscire dal partito -, anche oggi la questione del commercio delle armi mette a dura prova il movimento femminista. C’è unanimità nel ritenere che senza una riflessione sui processi macroeconomici la politica di pace è destinata al fallimento e che l’economia della cura deve ottenere un sostegno commisurato alle prestazioni sociali fornite. Su un punto le pacifiste femministe e i pacifisti femministi oggi si lambiccano il cervello: per poter con efficacia influenzare oggi i processi di pace, occorrono un’ampia rete di relazioni e approcci e prospettive diversificate.
Oggi la situazione di partenza è migliore, la comunicazione agevolata. Forse, più che in passato, è importante capire chi ha in mano il potere per definire cos’è "sicurezza". Questo potere è detenuto oggi dal modello militare e ciò è in parte legato al fatto che il commercio di materiale bellico è tra i settori economici più lucrativi. La narrazione secondo la quale è necessario aumentare il budget dell’esercito divampa soprattutto in tempo di guerra e ciò è palese nei testi di Clara Ragaz, così come al giorno d’oggi: i cittadini e le cittadine devono credere in una sorta di sicurezza nazionale assoluta. Una pacifista femminista bielorussa ha dichiarato: “Più vengono fornite armi, più la nostra sicurezza è precaria” (10). Questo potere di definizione del concetto di "sicurezza" è conteso. Nelle parole di Clara Ragaz: “Dobbiamo combattere ed è una battaglia amara, difficile, dura quella che dobbiamo combattere. Non una battaglia con cannoni e mitragliatrici, navi da guerra e dirigibili, ma una battaglia contro cannoni e mitragliatrici, navi da guerra e dirigibili. E credo che si farà ancora più difficile; perché sono diventati dèi a cui i popoli hanno affidato i loro destini e attaccarli significa attaccare beni sacri” (11).
(1) Clara Ragaz: Die Frau und der Friede. In: Neue Wege 6.1915, pp. 240–254. Lea Burger: Clara Ragaz: «Ist die Frau Pazifistin»? In: Neue Wege 7/8.2021, pp. 24–27
(2) L’iniziativa fu lanciata da personalità di spicco del movimento per il suffragio femminile. La WILPF è da intendersi come facente parte dei movimenti di emancipazione femminile del XX secolo. Non si occupava quindi soltanto di pace, ma anche, sin dall’inizio, della rivendicazione della giustizia sociale.
(3) Heidi Meinzolt: Von der Vergangenheit lernen, von der Gegenwart inspiriert und visionär für die Zukunft bleiben. In: Women Vote Peace. Zurich Congress 1919. Zurigo 2019, pp. 7–9.
(4) Ruedi Epple: Vom «Settlement» zur «Anlaufstelle», der Gartenhof bis 1945. In: Boesch et al: Haus Gartenhof in Zürich, Raum für vernetzte Friedensarbeit, pp. 17–97. Zurigo 2019.
(5) Clara Ragaz: Ist die Frau Pazifistin? In: Neue Wege 10.1997, pp. 278–279.
(6) Il lavoro di cura non può essere organizzato secondo modelli di crescita neoliberali, la razionalizzazione è difficile. Vale lo stesso per la delocalizzazione verso paesi a basso salario, poiché si tratta di attività legate alla persona. Oggi si può affermare che parti del lavoro di cura sono state “commoditizzate”, sono state cioè assoggettate al mercato e devono quindi generare profitti. Si tratta di prestazioni specifiche nella cura o nell’assistenza, per le quali sono richieste conoscenze professionali e dove non è possibile far ricorso all’accelerazione meccanica, per esempio mediante robot.
(7) KOFF, cfd, FriedensFrauen Weltweit, swisspeace (a cura di): Kein Frieden ohne Care-Arbeit. Internationaler Leitfaden für Geschlechtergleichstellung, Beiträge der Zivilgesellschaft zur Umsetzung der UN-Agenda für Frauen, Frieden und Sicherheit in der Schweiz. Zurigo 2021.
(8) ibid.
(9) Clara Ragaz: Die Frau und der Friede. In: Neue Wege 6.1915, pp. 240–254, qui pp. 245/246.
(10) Citazione da un workshop su demilitarizzazione e disarmo tenutosi a Berna a settembre 2023, organizzato da FriedensFrauen Weltweit (Donne di pace nel mondo).
(11) Clara Ragaz: Die Frau und der Friede. In: Neue Wege 6.1915, pp. 240–254, qui p. 252.
(Da: Neue Wege 1.24; trad.: G. M. Schmitt: adat.: G. Courtens)