Il vescovo luterano Sani Ibrahim Azar: “Non siamo più ben accetti in Israele”
(ve/protestinfo) Vivono in Israele o nella Striscia di Gaza. Non sono né ebrei né musulmani, ma cristiani, presi nella morsa di un conflitto che non appartiene loro. Mentre israeliani e palestinesi rivendicano il proprio legame con la Terra Santa, molti cristiani si interrogano sulla possibilità di un loro futuro in quanto minoranza in queste terre ancestrali.
Palestinese, residente a Gerusalemme da una trentina di anni, il vescovo Sani Ibrahim Azar è a capo della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa. Conosce la realtà da entrambi i lati della linea del fronte, in quanto la sua chiesa è presente tanto in Israele (Betlemme, Gerusalemme), quanto in territorio palestinese (Ramallah, Beit Sahour o Beit Jala).
Come vivono i cristiani di Israele e Gaza l’attuale conflitto israelo-palestinese?
Palestinesi o israeliani, siamo tutti abituati a vivere con questo conflitto permanente, ma mai abbiamo assistito a una simile escalation. A prescindere dall’orientamento confessionale, nella Striscia di Gaza vivono tra gli 800 e i 1.000 cristiani. Qualche giorno fa un ospedale cristiano e una chiesa sono stati attaccati. La comunità cristiana lamenta già una trentina di morti.
Come sono percepiti i cristiani da una parte e dall’altra?
La vasta maggioranza dei cristiani che vivono in Israele sono palestinesi. Detto questo, da una parte come dall’altra i cristiani si identificano con il resto della popolazione: si sentono israeliani o abitanti di Gaza. Nella Striscia di Gaza questo sentimento è divenuto ancora più forte nelle ultime settimane: palestinese cristiano o musulmano, non c’è più alcuna differenza. La ritorsione condotta attualmente è contro tutti i palestinesi: i combattenti, i bambini, le persone anziane.
Lei stesso è palestinese e abita in Israele. Come vive questa doppia identità?
Abito e lavoro a Gerusalemme da una trentina di anni. Fino a poco tempo fa i cristiani in Israele vivevano senza subire alcuna pressione particolare. Godevamo degli stessi diritti e potevamo praticare la nostra fede senza alcun problema. Ma le cose sono cambiate all’inizio di quest’anno con l’insediamento del nuovo governo. Da quel momento sentiamo di non essere più ben accetti in Israele.
Come mai?
Da quando l’estrema destra è al potere le aggressioni nei confronti dei cristiani sono in forte aumento, gli attacchi contro le chiese e i cimiteri cristiani si moltiplicano. Assistiamo a un cambiamento radicale nelle relazioni tra ebrei e cristiani; non avevamo mai vissuto nulla del genere prima d’ora. Infatti, molti cristiani si interrogano sul loro futuro, soprattutto nel caso in cui Gerusalemme dovesse diventare la capitale di Israele. Ci sarà ancora posto per noi in questa città? Sarà ancora la nostra terra o dovremo trovare un altro paese in cui stabilirci? Molti pensano di partire, dal momento che il loro futuro qui non è più assicurato.
Il governo israeliano non difende i vostri diritti?
Con i rappresentanti delle altre chiese del paese abbiamo scritto più volte per esprimere la nostra preoccupazione e domandare che lo Stato prenda in considerazione la nostra situazione, che si sta facendo sempre più complicata. La polizia e le autorità comunali ci hanno risposto favorevolmente, asserendo che avrebbero garantito la nostra integrità, ma da allora non abbiamo constatato alcun miglioramento.
Come si sono evolute le cose dall’attacco di Hamas del 7 ottobre?
La situazione è terribilmente dolorosa per ognuno di noi, tanto da parte israeliana, quanto da parte palestinese. La crisi attuale avrà conseguenze sulle relazioni tra ebrei e musulmani in Israele. Forse non in modo immediato, ma la situazione non sarà più quella di prima. Da una parte e dall’altra la fiducia è infranta. Tutti hanno paura e guardano l’altro con sospetto.
La Carta di Hamas mira alla soppressione dello Stato di Israele. Che dice riguardo ai cristiani?
Le chiese di Gaza fanno molto per la popolazione. Gestiscono ospedali, scuole e altri servizi diaconali destinati a tutti, musulmani o cristiani. Fino a oggi, e in particolare per questa ragione, i cristiani sono sempre stati ben accetti nella Striscia di Gaza.
I cristiani possono svolgere un ruolo in questo conflitto?
È più facile avere un ruolo da svolgere se non si è una minoranza così piccola! In Terra Santa i cristiani rappresentano meno dell’1% della popolazione. Noi concentriamo i nostri sforzi sull’educazione dei bambini e dei giovani, con quasi 90 scuole in Israele e Palestina. Il filosofo israeliano Martin Buber diceva che il problema tra ebrei e arabi è che non cercano di vivere insieme, ma gli uni a fianco degli altri. Ma non abbiamo alcun futuro se non cerchiamo di parlarci. È necessario comprendere che l’altro non è uno straniero: è come me. E oggi la vita è impossibile per ognuno di noi. (da: protestinfo.ch; trad.: G. M. Schmitt; adat.: G. Courtens)