Di chi è la colpa? Implicazioni etiche e teologiche delle crisi
(gc/ve) A un mese dal crollo del Credit Suisse, con una presa di posizione intitolata “Too big to fail”, il Consiglio della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS) è entrato oggi nel dibattito sul “salvataggio” da parte del Consiglio federale e della Banca nazionale svizzera dell’istituto bancario fondato 167 anni fa dall’imprenditore protestante zurighese Alfred Escher, e che da settimane è su tutte le prime pagine dei giornali elvetici, e non solo.
“La recente crisi bancaria del Credit Suisse non preoccupa solo il mondo finanziario, ma anche la politica e la società civile”, fa notare il Consiglio della CERiS nel comunicato stampa che introduce il testo redatto con il team per le questioni etiche e teologiche della CERiS, e che si articola in dieci domande e risposte. (La presa di posizione è disponibile in tedesco, francese e italiano). “Nella prospettiva evangelica riformata - si legge nel comunicato - l'economia è un bene importante che deve servire il maggior numero possibile di persone in modo appropriato. Le crisi, come quella bancaria del 2008 o il recente crollo del Credit Suisse, ci invitano a riflettere in modo più approfondito sul modo in cui concepiamo l'economia”.
Il Consiglio della CERiS nella sua riflessione - che prende come base l’ampio Documento di studio sulla crisi economica e finanziaria del 2010 dell’allora Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera (FCES) - oltre alla questione della colpa o della nozione di giustizia, ora al centro del dibattito, preferisce affrontare la dimensione teologica e spirituale del problema, perché tutte le crisi nel mondo sollevano sempre anche questioni teologiche: quali obblighi comporta la ricchezza? Come tratta la Bibbia la ricchezza e la povertà? Cosa dice la Bibbia sugli investimenti finanziari?, fa notare il Consiglio della CERiS.
Tuttavia, la CERiS riconosce anche che “non tutto richiede una prospettiva spirituale. Il desiderio di comprendere la crisi o la domanda se sia necessaria una regolamentazione e quale ruolo debba svolgere lo Stato non si basa su un approccio specificamente religioso”. Pertanto cita il noto eticista protestante svizzero Arthur Rich (1910-1992) che si rifaceva alla massima: "Ciò che non tiene conto della realtà dei fatti non può realmente tenere conto della realtà umana, e ciò che è indirizzato alle esigenze dell'essere umano non può essere adattato alla realtà dei fatti".
Secondo l’organo esecutivo dei protestanti svizzeri, nella vicenda del Credit Suisse non sarebbe possibile puntare il dito contro un colpevole certo. Troppo complessa la situazione venutasi a creare. Il documento si conclude con la seguente costatazione: “Le crisi ci rendono consapevoli dell'ambivalenza del mondo e della pluralità di interpretazioni, che ci impediscono di dare risposte univoche. Sarebbe quindi irrazionale andare a cercare un'unica spiegazione ragionevole. Si tratta di sviluppare una tolleranza per l'ambiguità che si oppone a una ingenua semplificazione morale dei problemi di ordine sistemico. Non esiste un soggetto d'azione concreto e identificabile a cui attribuire la responsabilità e dunque a cui imputare la colpa”. Piuttosto, per affrontare in modo costruttivo la vicenda, pur deplorevole, bisognerebbe guardare alle crisi come ad uno specchio, “in cui ci vediamo in modo diverso: non come osservatori e vittime di eventi e condizioni indesiderate, ma come persone che partecipano e agiscono”.
Dalla crisi finanziaria ed economica del 2008 è andata sviluppandosi in ambito del Consiglio ecumenico delle chiese un'ampia riflessione di ordine etico e teologico sul tema realtivo alle interconnessioni tra giustizia sociale ed ambientale, sistemi finaziari che si basano su una cultura dell'avidità, e lotta alla povertà. Tra i documenti di riferimento segnaliamo la Dichiarazione sulla finanza equa e l'economia della vita del 2009.