Il Consiglio delle chiese ucraine chiede aerei da combattimento
"In quanto cristiani, facciamo tutto il possibile per aiutare la nostra gente, preghiamo per il nostro presidente, preghiamo per il nostro esercito. Questa è la nostra situazione". A parlare è il pastore Igor Bandura vicepresidente dell’Unione battista dell’Ucraina, la più grande comunità protestante nel paese. L'ho raggiunto telefonicamente a Leopoli, città dell'Ucraina occidentale, svegliata, per la seconda notte consecutiva, dalle sirene dell'allarme aereo.
"Capisco che vista dalla Svizzera, o da un altro paese che vive in pace - prosegue Bandura -, la situazione può apparire diversa. Ma mettetevi nei nostri panni: i russi stanno ammazzando la nostra gente, ammazzano i civili. Come possiamo proteggerli?"
Giorno dopo giorno, la guerra in Ucraina assomiglia sempre di più a quanto le truppe russe hanno compiuto in Cecenia e in Siria. A essere colpiti non sono più solo obiettivi militari, ma anche - e forse soprattutto - aree abitate da civili.
"La Russia è molto forte, la NATO difende le popolazioni dei propri paesi... e chi difenderà gli ucraini?", incalza Bandura. Certo, pochi si aspettavano che l'esercito e la popolazione ucraina avrebbero opposto una resistenza tanto tenace e sarebbero stati in grado - come sottolineato da molti analisti - di rallentare l'avanzata della macchina bellica russa. Ma il prezzo che l'Ucraina sta pagando per questo, sebbene non siano ancora note cifre attendibili riguardo alle vittime del conflitto, è sicuramente altissimo. I morti sono innumerevoli e le distruzioni gravissime. A Leopoli, città patrimonio dell'Unesco, sono stati costruiti ripari intorno ai principali monumenti. Ma resisteranno all'impatto dei missili e delle bombe russi?
Di fronte all'ampiezza della tragedia, il premier israeliano Naftali Bennett ha rivolto ieri un appello al presidente ucraino Volomydyr Zelensky invitandolo ad arrendersi per evitare ulteriori distruzioni. Da Kiev è arrivato un secco no, che ribadisce la posizione del presidente ucraino espressa recentemente a Westminster: "Noi non vogliamo perdere ciò che è nostro come un tempo voi non avete voluto arrendervi di fronte all'invasione nazista".
A quella di Zelensky si è aggiunta, lo scorso 4 marzo, e poi di nuovo quattro giorni fa, la voce del Consiglio ucraino delle chiese e delle organizzazioni religiose (UCCRO)- che comprende cristiani di varie denominazioni, ebrei e musulmani. Il Consiglio ha rivolto un appello "alla NATO, come partner di sicurezza dell'Ucraina, all'ONU, all'Unione Europea, all'OSCE e al Consiglio d'Europa" affinché prendano "misure urgenti per introdurre una no-fly zone sull'Ucraina e per fornire alle Forze Armate dell'Ucraina un moderno equipaggiamento di difesa aerea, compresi gli aerei da combattimento, al fine di proteggere il nostro più grande valore - vite umane e infrastrutture civili - dai barbari bombardamenti degli invasori russi" (leggi l'appello).
Particolare non secondario: nell'UCCRO siedono, uno accanto all'altro, Onufri, primate della Chiesa ortodossa ucraina e metropolita di Kiev e di tutta l'Ucraina del Patriarcato di Mosca, e il metropolita Epifanio, primate della Chiesa ortodossa d'Ucraina, staccatasi da Mosca e considerata scismatica dal patriarca ortodosso Kyrill. Come dire che in Ucraina si ricompone - intorno alla difesa del proprio paese dall'aggressione russa - una certa unità ortodossa.
"Quando ti trovi dentro una situazione di guerra, la tua teologia viene messa a dura prova", mi ha detto il pastore Igor Bandura, nella conversazione telefonica. E ha precisato: "Quando il Consiglio delle chiese e delle religioni chiede alla comunità internazionale di fornirci delle armi e degli aerei da combattimento, e di creare una no-fly-zone sopra l'Ucraina, non vuol dire che le chiese e le comunità di fede intendono scendere in guerra usando quelle armi. Vuol dire che esse sostengono lo stato ucraino nel suo sforzo di difendere i propri cittadini e cittadine".
Riecheggiano forse, nelle affermazioni del pastore Bandura e nell'appello del Consiglio delle chiese e delle religioni, le parole del teologo protestante svizzero Karl Barth - tra i maggiori teologi cristiani del Novecento - , il quale, nel 1938, scrivendo all'amico teologo ceco Josef Hromadka, diceva, di fronte al minacciato intervento di Adolf Hitler in Cecoslovacchia, "che ora ogni soldato ceco starà o cadrà non solo per la libertà dell'Europa, ma anche per la chiesa cristiana". E con parole che oggi suonano di sbalorditiva attualità, aggiungeva: "Ho lanciato [...] un invito alla resistenza armata contro l'allora incombente minaccia e aggressione armata" - "non alla guerra mondiale [...] ma alla resistenza".
— Karl Barth
Barth fu sommerso allora dalle critiche, venne denunciato come agitatore e incitatore alla guerra e i suoi libri vennero ritirati dalle librerie e dalle biblioteche in tutta la Germania. Poco dopo, quando le armate naziste - infischiandosene degli appelli e delle pressioni della comunità internazionale di quel tempo - si presero mezza Cecoslovacchia, si dimostrò che il teologo basilese non era del tutto fuori strada.