Il senso originario di questo periodo che precede il 25 dicembre
Il periodo che comprende le quattro settimane che precedono il Natale si chiama Avvento. La parola 'Avvento' ha la stessa etimologia di 'avventura': entrambi i termini sono orientati verso ciò che viene. Quando Dio viene a noi è sempre un’avventura. Il Tempo dell’Avvento è orientato verso l’attesa di Dio. Ci ricorda che la fede è sempre nella tensione tra ciò che sappiamo e ciò che aspettiamo, ciò che possediamo e ciò che speriamo.
Nell’Antico Testamento l’uomo che viene presentato come un modello di fede è Abramo. La sua vocazione è menzionata nella chiamata che Dio gli ha rivolto: “Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò” (Genesi 12,1). Il Signore non ha detto ad Abramo in quale luogo doveva recarsi, gli ha detto che glielo avrebbe mostrato. Nella fede, il cammino ha la stessa importanza della meta.
Abramo è partito in nome di una promessa: quella di ricevere una terra e una discendenza. Alla fine della vita di Abramo il bilancio della promessa che è all’origine della sua vocazione resta modesto. Ha avuto soltanto un figlio con Sara… venticinque anni dopo aver risposto alla chiamata di Dio. E la sola terra che abbia mai posseduto è la tomba in cui ha seppellito sua moglie Sara.
La fede di Abramo non è sfociata in un cammino costellato di benedizioni, successi e vittorie. Nella sua storia, segnata da difficoltà e battute d'arresto, Abramo non ha mai smesso di aspettare. L’apostolo Paolo ha detto a suo riguardo che "ha sperato contro ogni speranza" (Romani 4,18). La fede non era un possesso, ma una ricerca, un desiderio ardente.
Facendo eco alla fede di Abramo, lo scrittore Gotthold Ephraim Lessing ha scritto: “Il valore dell’uomo non sta nella verità che qualcuno possiede, o crede di possedere, ma nella sincera fatica compiuta per raggiungerla. Perché le forze che sole aumentano la perfettibilità umana non sono accresciute dal possesso, ma dalla ricerca della verità. Il possesso rende quieti, indolenti, superbi. Se Dio tenesse chiusa nella mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo desiderio sempre vivo della verità e mi dicesse: 'Scegli!', mi chinerei con umiltà sulla sua mano sinistra e direi: 'Padre, dammela! La verità assoluta è per te soltanto!'”.
— Antoine Nouis
Quando preghiamo il Padre nostro, iniziamo dicendo: “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. Se lo chiediamo in preghiera è perché sappiamo che non è ancora così. Nel Tempo dell’Avvento attendiamo la santificazione del nome di Dio, l’arrivo del suo regno e il compimento della sua volontà.
Dov’è Dio quando la malattia bussa alla nostra porta? Dov’è Dio quando le bombe esplodono? Dov’è Dio quando le inondazioni distruggono e quando la siccità vanifica il lavoro degli esseri umani? Dov’è Dio? Protestiamo per non rassegnarci e affermiamo che l’aspettiamo: aspettiamo la sua venuta, il suo regno, la sua vittoria. Bisogna essere ricchi, felici e in buona salute per non aspettare Dio. E anche se siamo ricchi, felici e in buona salute possiamo ancora aspettare per i nostri fratelli e sorelle che sono nella prova. “Vieni, Signore Gesù, perché il nostro mondo ha più che mai bisogno del tuo evangelo!”.
Il teologo protestante Paul Tillich ha scritto, riflettendo sulla tensione tra attesa e possesso che caratterizza l'Avvento: “Penso al teologo che non aspetta Dio, perché lo possiede già, rinchiuso in una costruzione dottrinale. Penso allo studente in teologia, che non aspetta Dio, perché già lo possiede, rinchiuso in un libro. Penso all'uomo di chiesa che non aspetta Dio, perché già lo possiede, serrato in una istituzione. Penso al credente che non aspetta Dio perché ce l'ha già, chiuso nella sua esperienza religiosa personale. Non è facile sopportare il non possesso di Dio. Non è facile annunciare Dio ai bambini e ai pagani, agli scettici e agli atei, spiegando in pari tempo che noi stessi non possediamo Dio, ma che anche noi lo aspettiamo. Sono persuaso che buona parte dell’ostilità contro il cristianesimo provenga dal fatto che i cristiani pretendono - in modo palese, o segretamente - di possedere Dio e hanno quindi perduto l’elemento dell'attesa. Ma noi siamo più forti quando aspettiamo che quando possediamo”. (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)