L’ondata di freddo che ha investito la Bosnia-Erzegovina rende ancora più difficili le condizioni dei migranti che tentano di varcare il confine verso l’Unione europea
(Gaëlle Courtens) Non c’è acqua calda per lavarsi, non c’è abbastanza cibo, le condizioni igienico-sanitarie sono pessime, e fa freddo, molto freddo. I migranti bloccati in quello che viene chiamato il “cul de sac” della rotta balcanica sono allo stremo, e poco importa se sono ospitati in strutture ufficiali, o in campi fai-da-te. A tracciare questo quadro desolante è Stefan Dietrich, membro dell'associazione umanitaria argoviese Netzwerk Asyl e co-fondatore dell’opera di aiuto ai profughi Help Now di Bremgarten (AG), che insieme ad alcuni volontari ha trascorso il periodo natalizio a fianco dei migranti nel lembo nord-occidentale della Bosnia-Erzegovina.
Missione natalizia
Nel corso della missione natalizia di Help Now, cofinanziata dalle chiese cristiane di Bremgarten Stefan Dietrich ha visitato un centro di accoglienza vicino a Velika Kladuša, un campo estemporaneo nato in un’ex fabbrica vicino a Bihać, così come il centro per rifugiati di Salekovaç vicino a Mostar. Partito da Bremgarten il 22 dicembre scorso con un piccolo gruppo di volontari e due furgoni carichi di coperte, piumini, maglioni, cappelli, calzini e scarpe, è rientrato in Svizzera con la voglia di ripartire quanto prima.
L’inverno non aiuta
A Velika Kladuša, sul confine tra Bosnia e Croazia, sono caduti quasi 30 cm di neve e le temperature sono scese a -6°. Nel centro di accoglienza temporanea, allestito in un ex magazzino industriale dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) a Miral, vicino a Velika Kladuša, “fa sporco e freddo”, ha dichiarato Dietrich alla testata internazionale Deutsche Welle (DW) edizione serbocroata, aggiungendo di aver trovato una situazione degli aiuti quanto mai improvvisata. “Qui ci sono circa 690 persone, tra cui 5 bambini e lo stesso numero di donne, e il resto sono per lo più uomini giovani. Le persone dormono su letti a castello attorno ai quali hanno messo le coperte per avere un minimo di intimità. Non tutti i giorni i medici sono presenti nel campo e purtroppo non parlano bene l'inglese. Le condizioni igieniche sono pessime. La puzza del campo la sento ancora qui in Svizzera”.
Dietrich tuttavia ha notato un leggero miglioramento rispetto alla penultima missione, effettuata l’estate scorsa. La Croce Rossa porta i pasti tre volte al giorno. Ma a suo dire la “situazione rimane difficile e ci sono ancora persone che dormono all’addiaccio”. Secondo il blog di informazione indipendente lungolarottabalcanica.com, circa 100 persone continuano a vivere nei pressi di Velika Kladuša in squat e campi informali. Più soddisfacenti invece, a detta di Dietrich, le condizioni nel centro di accoglienza di Salakovaç vicino a Mostar.
Gli aiuti per l’inverno
A Bihać da mesi ormai, i migranti hanno occupato un’ex fabbrica. “È un'enorme sala fredda e buia stipata di persone nel mezzo della spazzatura - spiega Dietrich -. Alcuni dicono che vi alloggiano 1.700 persone, altri che ce ne sono 2.100”. A Bihać la IOM ha messo a disposizione 200 container, 37 dei quali non aveva il riscaldamento. “Quindi, con le donazioni raccolte a Bremgarten abbiamo comprato i termosifoni e li abbiamo consegnati. Abbiamo anche comprato forni a microonde per la Croce Rossa per poter scaldare il cibo. Inoltre, abbiamo acquistato e fornito un mucchio di guanti, calze, scarpe, cappelli, giacche, pantaloni termici, pannolini, cibo e forniture mediche e farmaci”, riferisce Dietrich.
Violenze alla frontiera
L’ondata di gelo ha reso ancora più pericoloso il viaggio verso la Croazia e la Slovenia. L’Unione europea è lì, appena dietro quei boschi e fiumi, ma riuscire a passare quella frontiera è un terno al lotto. I migranti lo chiamano “il gioco”. È stato documentato da organizzazioni umanitarie, che le guardie di confine sul lato UE effettuano respingimenti sommari verso la Bosnia, impedendo così il diritto di chiedere l’asilo, come previsto dagli accordi internazionali.
Ci sono testimonianze di migranti che raccontano come la polizia di frontiera abbia confiscato loro le scarpe o li abbia spinti nelle acque ghiacciate del fiume. Nonostante tutto, le persone sono determinate a proseguire. Anzi, Dietrich riferisce: “I migranti sono piuttosto ottimisti. A Bihać ne abbiamo incontrati alcuni che erano stati respinti addirittura 18 volte e ancora guardano al futuro con ottimismo e credono che riusciranno a raggiungere l'UE. A Velika Kladuša ci hanno detto che ogni notte sono un centinaio i migranti che cercano di attraversare il confine. Circa 70 saranno respinti, 30 saranno in grado di sfondare e raggiungere Italia attraverso la Croazia e la Slovenia”.
Altri tentano di attraversare il confine con la Croazia attraversavano il fiume l'Una con delle barche di trafficanti locali, ma secondo le testimonianze raccolte da Dietrich, una volta giunti in Croazia vengono immediatamente intercettati dalla polizia, che non solo confisca loro il cellulare, il denaro e le scarpe, ma che usa anche violenza fisica prima di riportarli nella foresta sul lato bosniaco.
“Sappiamo della brutalità e delle violenze contro i rifugiati in Ungheria e Bulgaria, ma ci sembra che quello che succede con i migranti in Croazia stia accadendo sistematicamente e che non sia affatto di ordine accidentale”, ha affermato Dietrich, che nelle scorse settimane ha incontrato persone provenienti da paesi come la Siria, l'Afghanistan, l’Iran, l'Iraq, il Pakistan, l'India, e addirittura dall’Egitto e dal Marocco.
Aiuti dal Ticino
Partono regolarmente anche dal Ticino dei carichi di aiuti verso la Bosnia. Nelle prossime settimane l’Associazione di volontariato “Casa DaRe” di Bellinzona, finanziata principalmente da donazioni private e dalla Fondazione per la diaconia delle chiese evangeliche svizzere FONDIA, in collaborazione con l’associazione “Ma anche noi”, porterà il suo carico di umanità con un furgoncino pieno di coperte, sacchi a pelo, indumenti caldi destinati ai migranti bloccati in quella parte d’Europa.