Tra trasparenza e speranza, il Dio selvaggio di Nick Cave

Il nuovo album Wild God si inserisce nella tradizione dei Salmi

28 ottobre 2024

(Felix Reich) A volte è sufficiente un’idea di felicità. Nella traccia di apertura del nuovo album del cantautore australiano Nick CaveWild God, cori angelici fluttuano attraverso lo spazio, tuttavia risuonano, nell’euforia, la follia e il crollo. Il narratore non cade però nel vuoto. C’è qualcosa che lo trattiene, una misteriosa speranza.
Da tempo, ormai, Cave non si accontenta più del mero intrattenimento. Vuole “migliorare il mondo” con la musica, dice e si atteggia a cantante predicatore e assistente spirituale che sulla base della propria esperienza di perdita cerca e dona consolazione nella comunità.
In un album tanto pieno d’angoscia quanto toccante qual era Skeleton Tree (2016), Cave elaborava la morte del figlio 15enne, che dopo aver assunto LSD era caduto da una scogliera. Cave ha strappato alla morte composizioni meravigliose e in Jesus Alone ha cantato il verso programmatico: You believe in God but you get no special dispensation for this belief (“Credi in Dio, ma non ottieni alcuna esenzione speciale per questa tua fede”). Nemmeno al credente viene risparmiato nulla. Due anni fa Cave ha perso anche il secondogenito, sofferente di schizofrenia e morto di probabile overdose a 31 anni.

Permeabile alla vita

La fede non rende immuni dal dolore e dalla disperazione, ma piuttosto rende permeabili alla vita e anticipa qualcosa dell’amore che va oltre. La musica è quella forma d’arte che più si avvicina “al sacro”, dice Nick Cave. Crea “autentici momenti di trasparenza”.
Con Wild God Cave opera come un sacerdote della poesia che nella tradizione dei Salmi canta nell’oscurità verso la luce, che alla fine dell’ultima canzone, As the Waters Cover the Sea, sfocia in un inaspettato coro gospel.

Cadono le maschere

Se nel corso della sua carriera Cave può aver provocato irritazione, oggi cerca la comunione con il pubblico. Sono passati i tempi in cui si mostrava come il maestro della maschera. Sempre vestito in giacca e cravatta, abito che per lui è anche un’uniforme da lavoro, Cave ha continuato a tessere i fili del racconto dei miti, seduto al pianoforte negli stadi a cantare ballate marinare ai limiti del kitsch, facendo esplodere sale da concerto a suon di chitarre punk e prendendo d’assalto le classifiche con ballate che raccontano di omicidi.
In ogni ruolo si celava qualcosa di lui, ogni frammento biografico gli serviva da maschera. Tuttavia, al più tardi da quando con il blog The Red Hand Files ha avviato un dialogo intimo con il suo pubblico, il gusto per la provocazione si è spento.

Credente per esperienza

La scrittura non riguarda la verità, bensì “la realtà, il significato”, dice Cave. Perciò la questione dell’esistenza di Dio, nella quale si imbatte regolarmente, non è posta correttamente. A lui interessa “che cosa significa credere”.
La sua vita, la sua opera sono segnate dall’idea di Dio: “Sono un credente”, sia nell’esperienza della presenza di Dio, sia nella sensazione dell’abbandono da parte di Dio.

Solitudine precaria

Cave celebra i suoi concerti a volte come culti febbrili. Egli stesso definisce le performance riuscite come un viaggio dal quale musicisti e pubblico “escono cambiati”. La trasformazione, che appunto non può essere fabbricata e giunge piuttosto come un momento regalato, viene da lui cercata e trovata anche nelle dieci nuove canzoni che ha preparato con il gruppo che da molti anni lo accompagna, i Bad Seeds.
La solitudine precaria si trasforma nell’idea di un orizzonte di esperienza collettivo. Il cordoglio diviene espressione di amore, nel dubbio brilla la scintilla della speranza.

Nell’ampio delta

In Wild God le canzoni di Nick Cave, composte insieme al celebre polistrumentista Warren Ellis, non sono lineari. Gli arrangiamenti si snodando attraverso i meandri di un ampio delta, si accatastano minacciosi per sedimentarsi infine in un’intima quiete.
Le canzoni, testimoniando le ferite che la vita infligge e non eludendole nemmeno negli slanci di felicità, hanno un effetto salutare. Alla fine celebrano e piangono la transitorietà e vogliono aiutare a venire in qualche modo a capo di questa vita. (Da: reformiert.info; trad.: G. M. Schmitt)

 

 

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