Una decisione della Corte costituzionale che fa discutere
(AsiaNews/ve) “Non costituisce una violazione della libertà di religione” l’espulsione, effettuata sulla base di rapporti dei servizi segreti, di leader protestanti o pastori a capo di chiese da parte delle autorità governative. È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con una decisione a maggioranza presa nei giorni scorsi. Nel mirino la comunità protestante, con oltre 170 comunità sparse sul territorio e che, da anni, segnalano criticità e abusi: richieste negate, permessi di soggiorno revocati e deportazioni a forza sono solo alcuni esempi. Ciononostante, per i giudici, governo e amministrazioni hanno agito secondo giustizia e non vi sarebbe stata alcuna “violazione” nel vietare l’ingresso o la permanenza a leader religiosi che, in risposta, hanno promosso una protesta ricorrendo in tribunale.
Il Direttorato per la gestione dell’immigrazione ha applicato il codice restrittivo N-82 contro protestanti già residenti che comporta una “autorizzazione preventiva” all’ingresso. L’applicazione della norma è stata presa per motivi di ordine pubblico, sicurezza o salute, in linea con i rapporti dell’Organizzazione nazionale di intelligence (Mit) che descrivevano “attività missionarie”. Revocati i permessi di soggiorno, emessi ordini di deportazione contro alcuni e quanti sono andati all’estero per le vacanze non hanno potuto rientrare in Turchia. I funzionari religiosi hanno quindi portato la questione davanti alla magistratura. Ma già in primo e secondo grado non erano emersi estremi per rilevare violazioni e le decisioni erano “conformi alla legge e alla procedura”. Secondo i giudici all’ingresso nel paese era possibile richiedere un permesso speciale o un visto adatto allo scopo.
Corte costituzionale incostituzionale?
Da qui la scelta di ricorrere alla Corte costituzionale, con l’ipotesi di violazioni alla libertà di religione che sono state però respinte anche in questo caso, con il via libera all’intervento “proporzionato” nei casi in cui le attività abbiano carattere “missionario”. Azioni che, proseguono i giudici, possono mettere “in pericolo l’ordine pubblico, la sicurezza, i diritti e le libertà altrui o altri valori che prevalgono nel bilanciamento”. Fra le voci critiche (e contrarie), quella dell’ex presidente della Corte costituzionale Zühtü Arslan, il quale ha ricordato che la libertà di religione è garantita dall’articolo 24 della Costituzione. “In una società democratica basata sul pluralismo, il dovere dello Stato - ha precisato - non è quello di accettare che alcune delle varie visioni del mondo o credenze siano ‘sbagliate’, ma di adottare le misure necessarie per consentire agli individui di vivere seguendo le loro visioni del mondo e credenze”.
Protestanti in Turchia
Oggi in Turchia i protestanti sarebbero oltre 8mila, per lo più di etnia turca, con 170 chiese o congregazioni concentrate soprattutto a Istanbul, Ankara e Smirne che, nel 2009 hanno dato vita alla Associazione delle Chiese protestanti. L’obiettivo è di “essere organizzazione di condivisione, rappresentanza e solidarietà” della realtà protestante del Paese, dando vita a un luogo di “unità e cooperazione” oltre a “monitorare e determinare” la “posizione legale” di fronte alle leggi della Repubblica turca.
Secondo l’ultimo rapporto 2023, la maggioranza dei 33 "operatori religiosi" è stata contrassegnata con il codice N-82, che significa “straniero il cui ingresso è soggetto ad autorizzazione preventiva”, e il rimanente col codice G-87, che significa “persona che può rappresentare un pericolo per la sicurezza generale”. I funzionari religiosi sono stati quindi costretti a lasciare la Turchia o non sono stati autorizzati a rientrare nel Paese. Secondo i dati dell’associazione, dal 2019 a 250 persone è stato impedito l’ingresso, negato il permesso di soggiorno o sono state espulse fra cui i cittadini USA Amanda Jolyn Krause, Benjamin Charles Mclure, Helmut Frank e Matthew Vern Black.