La Bibbia non è un manuale di biologia ma non parla solo dell'umanità
“Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo. Il paradiso è aperto a tutte le creature di Dio”. È ciò che avrebbe risposto papa Francesco a un ragazzino. La storia è stata oggetto di un articolo nel prestigioso “New York Times” nel 2014. Ma due giorni dopo il quotidiano pubblicava una rettifica: erano state mescolate due storie diverse. Francesco non ha mai detto quelle parole riguardo a quello che definisce un “annoso problema teologico della chiesa”.
L’aneddoto è riportato dal professore di etica teologica David Clough (Università di Chester) nel suo articolo “La salvezza degli animali in un contesto cristiano”. Attraverso un rapido esame dei testi biblici da Isaia alle lettere di Paolo, dai Salmi all’Apocalisse, il teologo constata i molteplici riferimenti a una nuova creazione, lasciando aperta l’ipotesi che essa non sarebbe riservata ai soli esseri umani.
Il teologo cattolico Franck Dubois in Pourquoi les vaches ressuscitent (probablement) (“Perché le vacche risuscitano (probabilmente)” riassume così il dibattito: “Se Dio crea il mondo, se si prende il tempo di dire a ogni tappa della creazione nella Genesi che tutto è “buono”: terra, cielo, alberi, pesci, uccelli e uomo, non è per poi cancellare tutto d’un tratto alla fine del mondo e conservare in extremis per il regno celeste soltanto gli uomini. A prima vista, tuttavia, la Bibbia non parla di risurrezione degli animali e ancor meno dei vegetali. Si occupa d’altronde poco degli animali in quanto tali. Non ne ha l’intenzione. La Bibbia non è un manuale di biologia o di orticoltura”.
Un vuoto che lascia ampio spazio a molteplici interpretazioni teologiche. Così se dal 2. secolo i padri della Chiesa avevano dottrine di redenzione che includevano tutta la creazione, come ricorda David Clough, Franck Dubois spiega invece che nel corso dei secoli si è insinuato nelle menti il dubbio riguardo al posto degli animali in paradiso: sono stati prima considerati come semplici mezzi di sostentamento per l’uomo, fornitori di cibo, vestiario, forza lavoro; poi si è iniziato a dubitare che avessero un’anima o una consapevolezza di sé, concedendo loro soltanto un “principio vitale”.
“Escludere gli animali dal cielo significa privare l’uomo di compagni di vita che furono determinanti nel corso della sua esistenza", afferma Franck Dubois. "L’uomo ha spesso relazioni importanti e strutturanti con gli animali. Il riformatore Martin Lutero, per esempio, non concepiva un cielo senza il suo fedele cane Tölpel. Aveva consapevolezza di un fatto innegabile: ciò che ha fatto di me quello che sono, sono certamente e prima di tutto le relazioni umane che ho avuto con i miei genitori e con i miei amici. Ma in misura minore sono i legami che ho intessuto con certi animali e persino con certi paesaggi, con certi luoghi a ‘farmi’”.
David Clough, da parte sua, fa appello soprattutto a una conseguenza morale: “Questo riconoscimento del posto degli animali nell’opera di salvezza di Dio non può essere semplicemente una pia speranza per il futuro, ma deve influenzare il modo in cui li trattiamo qui e ora. […] L’esigenza etica prioritaria che ciò ci impone è di ripensare radicalmente l’uso che facciamo dei nostri congeneri animali per l’alimentazione”. (da Réformés; trad. it. G. M. Schmitt)