L’ente di aiuto delle Chiese evangeliche svizzere HEKS compie 75 anni
Il direttore della HEKS, Peter Merz, spiega perché il riferimento alle Chiese nel nome dell'organismo umanitario protestante possa essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio, perché a un certo punto si prevedesse di sciogliere l’organizzazione e perché l’impegno della HEKS continui ad essere necessario.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nelle nazioni limitrofe c’era un diffuso stato di bisogno. La Federazione delle Chiese evangeliche in Svizzera e le chiese protestanti cantonali invitarono perciò la popolazione elvetica a fare donazioni. Il risultato fu una colletta che fruttò oltre due milioni di franchi. Sorprese dal successo dell'azione, le chiese avviarono una riflessione sul modo più sensato di impiegare quel denaro. Nel 1946 fu dunque fondata la HEKS, un organismo che inizialmente doveva avere soltanto un carattere provvisorio.
Per dieci anni la HEKS lavorò in Svizzera e nei paesi limitrofi fornendo aiuti di emergenza. Diede la possibilità agli orfani di guerra di trascorrere periodi di vacanza in Svizzera, raccolse materiale medico e vestiti, aiutò le chiese nell'opera di ricostruzione e si fece carico dell’assistenza dei profughi evangelici in Svizzera. L’allora segretario ritenne che la miseria nel mondo fosse tale da richiedere degli interventi anche in Africa e in America latina. La Federazione delle Chiese evangeliche sostenne questa visione e per la HEKS si aprì un nuovo campo d’azione.
Una strategia fu elaborata soltanto più tardi. All’inizio la HEKS reagiva semplicemente alle chiamate di emergenza delle chiese dei paesi vicini. Oggi lavoriamo su progetti particolari in Svizzera e in trenta paesi, per esempio nell’ambito dell’accesso alla terra e della sua coltivazione sostenibile o nel sostegno ai profughi per motivi di guerra o di catastrofi naturali.
No, ancora oggi la HEKS è attiva anche in Svizzera, per esempio a favore dei rifugiati o delle svizzere e degli svizzeri socialmente svantaggiati. Molti non sanno che la metà del denaro investito nei programmi di aiuto e sviluppo è utilizzato nel nostro paese. Anche in Svizzera ci sono persone prive o parzialmente prive dell’assistenza. Lo abbiamo constatato di nuovo, in modo evidente, durante la pandemia, quando abbiamo distribuito buoni pasto e informazioni sul coronavirus in diverse lingue. I bisogni nei paesi del Sud non sono però meno urgenti.
Già nelle fasi iniziali il nostro impegno era complementare a quello delle società missionarie. Non avevamo e non abbiamo tuttavia alcun mandato missionario: noi lavoriamo nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, sosteniamo profughi in fuga, forniamo aiuti alla ricostruzione. Il nostro lavoro deve andare a beneficio di tutte le persone, indipendentemente dall’etnia o dalla religione. Questo principio è sempre stato centrale per noi, sin dal 1958, all’epoca del nostro primo impegno al di fuori dell’Europa, nell’India meridionale. In quel paese, la HEKS ha creato un’officina per apprendisti per permettere ai giovani di formarsi professionalmente. La formazione era aperta a tutti i giovani, non soltanto a quelli di fede cristiana.
Sì, spesso. Nel nostro nome c’è comunque il riferimento alle chiese evangeliche. Perciò molti hanno la sensazione che la HEKS sia strettamente legata alla chiesa. Dobbiamo spesso spiegare come mai collaboriamo anche con partner non ecclesiastici, perché siamo attivi in paesi a forte presenza musulmana come il Niger o perché assumiamo collaboratori che non sono evangelici riformati o che indossano un velo.
La chiesa ci affida l’incarico e il mandato. In molti paesi collaboriamo con chiese partner e con organizzazioni partner appartenenti alle chiese. Spesso ciò è utile per poter avviare il lavoro in un determinato paese, come accadde per esempio durante la guerra fredda nell’Europa dell’est. Grazie a quelle relazioni di lunga data, dopo il crollo del blocco orientale abbiamo potuto ampliare rapidamente il nostro lavoro in paesi come la Romania, poiché le basi per una collaborazione erano già state create.
In alcuni paesi usiamo soltanto l'acronimo “HEKS” e non “Swiss Church Aid”, per non destare il sospetto di voler svolgere attività missionaria. Questo potrebbe comportare problemi nella realizzazione dei progetti o nell’accreditamento dei nostri uffici in loco.
Siamo in dialogo con organizzazioni partner internazionali appartenenti alle chiese, con la Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS), con le Chiese cantonali, con organismi specializzati riformati. Le chiese ci sostengono finanziariamente e anche idealmente, come abbiamo constatato in occasione della campagna sull'iniziativa per multinazionali responsabili. I principi e le visioni che ispirano il nostro lavoro sono cristiani: un mondo giusto, la tutela del creato, l’amore per il prossimo e i diritti umani universali.
Ci sono stati cambiamenti a livello di cooperazione internazionale. Vogliamo affrontare i problemi insieme, orientarci ai bisogni delle popolazioni locali ed essere vicini alle persone. Perciò non possiamo sviluppare a Zurigo progetti per i paesi del sud.
L’aiuto umanitario comporta sempre una certa dose di rischio. Spesso bisogna intervenire con grande rapidità, in situazioni in cui c’è molto denaro a disposizione, le strutture statali sono sovraccariche e la situazione del paese in cui siamo chiamati a intervenire è fragile. Faccio l'esempio del nostro intervento ad Haiti: dopo il terremoto abbiamo allestito un progetto di ricostruzione con standard elevati, ma ci siamo resi conto che le nostre esigenze non potevano essere soddisfatte in loco. Abbiamo quindi dovuto ridimensionare il progetto e cercare di ottenere una sufficiente sicurezza antisismica con i materiali locali. Abbiamo avuto dei problemi a causa di un caso di corruzione che ha comportato un’indebita sottrazione di materiale da costruzione. Perciò abbiamo dovuto rafforzare i meccanismi di controllo, migliorare la formazione dei collaboratori e assumere nuovo personale.
Il nostro lavoro a lungo termine ha spesso dato buoni frutti: penso ad esempio al Sudafrica, dove ci siamo impegnati contro il regime dell'apartheid. Ad Haiti abbiamo investito nel miglioramento della produzione di caffè e di cacao in una regione remota dell’isola. Questi prodotti vengono venduti sul mercato regionale e assicurano guadagni più elevati ai produttori. Il nostro primo progetto in India, avviato sessant'anni fa, si è sviluppato enormemente - da un’officina per apprendisti all’impegno per i diritti fondiari.
Perseguiamo la visione di un mondo giusto e di pace, ma ne siamo ancora molto lontani. È la dimostrazione di quanto il nostro lavoro sia importante. Non possiamo risolvere i problemi del mondo intero, ma possiamo contribuire a migliorare la vita degli individui - conformemente al nostro motto: “Nella piccola realtà quotidiana, fare la differenza”.
Entrambe le organizzazioni portano con sé esperienze e competenze specifiche nell’opera di sensibilizzazione e nella realizzazione dei programmi. Ovviamente c’è qualche sovrapposizione, ma in molti aspetti siamo complementari. La fusione porta anche chiarezza: non più due organizzazioni legate alle chiese evangeliche che svolgono un lavoro analogo. Inoltre vogliamo e dobbiamo affermarci in un mercato fortemente competitivo. Siamo in concorrenza con altre organizzazioni umanitarie e dipendiamo dalle donazioni. È probabile che in futuro i contributi erogati dalle chiese diminuiranno e dobbiamo quindi darci da fare per trovare nuove risorse.
Percepiamo da tempo una forte pressione sulla società civile, nel senso di una progressiva limitazione della libertà di espressione e della partecipazione politica. È preoccupante il fatto che anche in Svizzera si sia arrivati a sostenere che le ONG dovrebbero limitarsi a fornire aiuti e non più difendere determinate posizioni politiche. Durante la campagna per l’iniziativa per imprese responsabili questa tendenza si è ulteriormente rafforzata, ma già in passato abbiamo avuto discussioni di questo tipo - penso alle critiche rivolte alla HEKS per avere sostenuto la lotta contro l’apartheid. Ma la nostra visione di un mondo più giusto esige la lotta contro le ingiustizie e questa è possibile solo con un adeguato impegno. Un mio predecessore ha detto: “La HEKS è politica e lo è sempre stata”. Credo che questa frase non abbia perso nulla della sua attualità e validità.
Peter Merz è direttore della HEKS dal 2017. In precedenza è stato supervisore per l’Africa e l’America latina e quindi caposettore per le attività all’estero. È stato inoltre membro del comitato di direzione. (da ref.ch.; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)