Appunti teologici sulla queerness
“La mia famiglia non è una famiglia” è la prima frase di Faire famille autrement (“Far famiglia diversamente”), pubblicato nel 2022 da Binge Audio Édition. L’opera non è né una summa teologica né uno studio sulla famiglia nelle comunità ecclesiali. Tuttavia questo piccolo saggio femminista ha molto da insegnarci sul modo in cui le nostre tradizioni condizionano la nostra concezione della “famiglia” e limitano i nostri immaginari relazionali. Dobbiamo questa apertura a Gabrielle Richard, una sociologa specializzata in questioni di genere e sessualità e ricercatrice associata all’Università Paris-Est Créteil. Quella che qui condivide, con delicatezza e umorismo, è la sua esperienza di persona queer.
La complementarità – una visione restrittiva della “famiglia”
Gabrielle Richard inizia il suo percorso con la propria testimonianza, quella di una madre che è anche lesbica, una condizione la cui legittimità viene continuamente messa in discussione dalla società sebbene numerosi studi abbiano già dimostrato che essere educati da una coppia omoparentale non ha conseguenze sul figlio o sui figli interessati. Uno stato di cose che è più frutto di un’ideologia che di una vera preoccupazione. Secondo lei ciò deriva dal fatto che
Come tutti gli ambiti della società, la famiglia è costruita su standard di eterosessualità e di complementarità dei generi che non hanno nulla di naturale o di vincolante. (Faire famille autrement, p.19)
Nella prefazione l’autrice definisce ancora il queer e l’azione del queerare. Il queer appare allora come la rimessa in discussione di tre nozioni fondamentali: (1) la binarietà del genere (divisione/gerarchizzazione sistematica tra “donne” e “uomini”, non naturale, ma costruita socialmente); (2) la presunzione di eterosessualità (considerazione dell’eterosessualità come “l’unica via naturale per mettere in relazione, nel matrimonio, nella famiglia, per accedere alla sessualità ecc.” [23]); e (3) “la necessaria interconnessione delle dimensioni del genere, dell’identità di genere, dell’espressione di genere, dell’orientamento sessuale e romantico di una persona” (23).
In quanto all’azione del "queerare", diventa l’unico modo di immaginare un contesto meno rigido e più tollerante per far famiglia diversamente. Infatti:
Poiché per concepire un bambino sono necessari ovuli e spermatozoi, tra la complementarità dei gameti e la complementarità dei ruoli nella genitorialità il passo è breve. (Faire famille autrement, p.32)
Così, la “complementarità” costituisce una dimensione essenziale delle relazioni all’interno di questo gruppo sociale che chiamiamo “famiglia”, a scapito della fluidità e della diversità dei modelli.
Abbattere gli standard della (buona) genitorialità
Prendendo da lì le mosse, l’analisi si sviluppa in tre sezioni. Innanzitutto, per “abbattere gli standard della (buona) genitorialità, Gabrielle Richard constata che la famiglia non è legata né all’eterosessualità né alla biologia né alla convivenza. Infatti, come ricorda ancora una volta l’autrice, le coppie omosessuali sono perfettamente in grado di crescere uno o più bambini. Per quanto riguarda la biologia, la sterilità nelle coppie eterosessuali è superabile grazie ai progressi della medicina, dovrebbe quindi essere lo stesso per le coppie omosessuali.
Infine, la convivenza non è assolutamente necessaria, come dimostrano i genitori eterosessuali separati. Il benessere del bambino non dipende quindi dalla differenza sessuale dei suoi genitori, né dal suo legame biologico con loro, né dalla convivenza con entrambe le parti. Al contrario, esso dipende piuttosto da un ambiente sano e amorevole, attento ai suoi bisogni e aperto al dialogo.
Tuttavia quasi tutte le rappresentazioni che costruiscono nel nostro immaginario la “famiglia” soddisfano questi tre requisiti. Una “buona” famiglia è costituita da un papà a da una mamma che vivono sotto lo stesso tetto e hanno rapporti sessuali che portano alla genitorialità. Questo ritratto concerne però soltanto una minoranza delle famiglie, che nella maggior parte dei casi incontrano invece ostacoli di ordine sociale, biologico, relazionale ecc. a certi livelli di questo schema. È allora giocoforza constatare che:
[…] tra i cis-etero [gli] accordi familiari fanno il più delle volte seguito a un fallimento (come una rottura amorosa [o la sterilità di uno dei partner]), mentre tra i queer sono nella maggior parte dei casi pensati e attuati con cognizione di causa, in modo da strutturarsi una genitorialità compatibile con la loro persona, i loro bisogni, le loro risorse e i loro desideri. Questi accordi sono i loro successi. (Faire famille autrement, p.79)
Porre fine alla ripartizione dei ruoli genitoriali in base al genere
Poi, per “porre fine alla ripartizione dei ruoli genitoriali in base al genere”, la sociologa torna sulla questione della divisione tra “maschile” e “femminile”. Ritroviamo qui il nostro compagno di viaggio, la complementarità:
Questa complementarità si basa su un certo numero di presunzioni di genere, ovverosia di aspettative rivolte distintamente alle donne (o persone che alla nascita sono state classificate femmine) e agli uomini (o persone classificate come maschi). Queste presunzioni riguarderanno i corpi e le loro funzioni, il desiderio di accedere allo status di genitore e il ruolo occupato da ciascuno o ciascuna nell’esercizio della genitorialità. (Faire famille autrement, p.83)
È l’occasione per l’autrice di affrontare i temi della gravidanza, dell’allattamento e di altre incombenze domestiche la cui ripartizione corrisponde a uno scenario basato sul genere e superato; così come della genitorialità trans che “dimostra come sia possibile affrancare i ruoli genitoriali dalla loro assegnazione di genere e ripensarli in funzione delle capacità e dei desideri degli adulti che fanno famiglia insieme” (p.106).
Reinventare la famiglia
In conclusione, al termine della sua dissertazione, Gabrielle Richard propone alcuni spunti di riflessione per “reinventare la famiglia”: scegliere la propria famiglia, adottare un linguaggio inclusivo di genere, reinventare i rituali. Sono tutti strumenti che ci permetterebbero di valorizzare le relazioni interpersonali piuttosto che categorizzare le interazioni secondo il genere di ognuno o ognuna.
Prospettive
Come affermato all’inizio, non si tratta di un’opera teologica, ma di un saggio femminista. Qual è allora il nesso con la vita ecclesiale o la teologia? Il fatto è che il cristianesimo (o piuttosto la tradizione giudaico-cristiana) è all’origine del presupposto errato che è “l’uguaglianza nella diversità” - ovverosia, il mito della complementarità di uomini e donne - che giustifica una separazione e una gerarchizzazione sistematica dei generi.
Tuttavia nel corso dei primi secoli dell’era volgare - durante i quali emergono le prime comunità di credenti di cui riferiscono gli scritti del Nuovo Testamento - la “famiglia” o “casa” (dal greco oikos) designa una realtà del tutto diversa da quella che la modernità ci ha trasmesso. Infatti, allora non si tratta di “un papà, una mamma e dei figli che intrattengono relazioni d’amore e d’uguaglianza basate sulla particolarità delle loro identità”, quanto piuttosto di “un padre di famiglia che possiede una moglie, dei figli e degli schiavi di cui dispone a suo piacimento e che non hanno identità propria”.
In linea con l’apostolo Paolo, che iniziò a sovvertire le relazioni antiche, forse siamo invitati a mettere in discussione le relazioni all’interno della “famiglia” postmoderna in modo tale da realizzare le speranze del tarsiota che ci ha insegnato che “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna” nel battesimo nel nome di Gesù Cristo (Galati 3, 28). A tal fine le prospettive femministe e queer hanno allora molto da insegnarci e sta soltanto a noi aprirci a relazioni più autentiche e più in accordo con i principi fondanti del cristianesimo, in modo da far famiglia, far chiesa, far comunità diversamente. (Da: evreblog.ch; trad.: G. M. Schmitt)
Gabrielle Richard, Faire famille autrement, Binge Audio, Parigi, 2022
L’autrice di questa recensione è teologa, nonché assistente presso l’Istituto romando di scienze bibliche della Facoltà di teologia e scienze religiose all’Università di Losanna.