Il caso svizzero nello scenario spazio-temporale più ampio
Le vittime accertate di abusi sessuali nella chiesa cattolico romana in Svizzera negli ultimi 70 anni sono 1002: “la punta dell’iceberg”, hanno sottolineato le ricercatrici del Dipartimento di storia dell’Università di Zurigo incaricate dalla stessa Conferenza episcopale elvetica ed altre realtà cattoliche di svolgere un’indagine indipendente su un fenomeno di cui si conoscevano i contorni, certo, ma la cui ampiezza scaturita dall’indagine ha sconvolto l’opinione pubblica svizzera. Martedì scorso, 12 settembre, il rapporto di 136 pagine è stato presentato alla stampa rivelando insabbiamenti di casi, testimonianze non ascoltate, vittime colpevolizzate o isolate, omertà, trasferimenti di preti, documenti sensibili distrutti, archivi bruciati. Dagli atti analizzati emerge che il 74% dei casi riguarda abusi sessuali perpetrati contro minori, neonati compresi. L’indagine, secondo le studiose dell’Università di Zurigo Marietta Meier e Monika Dommann, arriva con 20 anni di ritardo.
Nel tentativo di inquadrare la vicenda svizzera in uno scenario geografico e temporale più ampio, abbiamo intervistato Iacopo Scaramuzzi, giornalista vaticanista de La Repubblica, che si è occupato in modo approfondito con il tema della pedofilia nella chiesa cattolico romana. All’attivo ha diverse inchieste giornalistiche sugli abusi sessuali perpetrati da chierici, tra cui il podcast “La bomba”, coprodotto con Alvise Armellini. L’anno scorso ha pubblicato il saggio “Il sesso degli angeli” (ed. Asino, 2022), in cui traccia un bilancio della crisi degli abusi sessuali nella chiesa cattolica.
Iacopo Scaramuzzi, ci aiuti ad inquadrare la vicenda svizzera in uno scenario più ampio. La Svizzera si è mossa in ritardo?
Le primissime inchieste fatte su questo tema si sono svolte negli Stati Uniti. Fu Jason Berry il primo giornalista che già negli anni '80 svelava gli abusi sessuali su minori compiuti da chierici nella chiesa cattolica e insabbiati dai vescovi. Inizialmente qualcuno in Vaticano aveva tentato di presentare questi casi come se fossero un problema relativo solo agli Stati Uniti, ma nel corso degli anni è emerso con sempre maggiore evidenza che si tratta di un problema endemico presente praticamente in tutti i paesi. Nel 2001 scoppiò il celebre caso Spotlight, l'indagine condotta dal Boston Globe e che fece balzare il tema degli abusi nella chiesa cattolica a livello mondiale.
Dopo Giovanni Paolo II, con l’arrivo di Benedetto XVI, i casi scoppiano uno dietro l’altro, in particolare in Europa: Irlanda, Germania, Belgio, Olanda e poi anche Italia, Spagna, Francia… ed ecco che con sempre maggior forza emerge la prassi dell'insabbiamento delle denunce. Ci si rende conto che si tratta di un problema che attiene proprio a una questione di sistema della chiesa cattolica: a un esercizio del potere maschile da parte dei sacerdoti e dei vescovi che non è stato in grado di tutelare i minorenni. Ma non solo: proprio in questi ultimi mesi sta emergendo che nel corso dei decenni anche molte donne, sia consacrate, sia laiche, sono state vittime di abusi sessuali.
Ci sono degli elementi che legano le diverse situazioni nazionali al caso svizzero?
Ogni caso ovviamente ha la sua specificità, però ormai è chiaro che c'è un pattern che accomuna questi casi. Si tratta sempre di un abuso di potere il quale viene coperto dai responsabili gerarchici. Ma spesso c'è un silenzio anche da parte dei fedeli. In molti casi è venuto fuori che il prete abusatore godeva di grande fiducia da parte, ad esempio, delle famiglie o dei genitori dei minorenni abusati. Anche qui si ripete uno stesso schema: il perpetratore prima conquista la fiducia dei genitori e della famiglia e poi abusa. In questi casi spesso le accuse non vengono credute, o i bambini non hanno il coraggio di denunciare, anzi, spesso succede che quando denunciano, poi non vengono creduti.
Un filo che lega un po' tutte queste realtà è quello comunque di voler prediligere sempre il “bene” della chiesa e non in primis quello della vittima. Concorda?
Sì, questa è stata purtroppo una preoccupazione costante che è emersa. Cioè, il desiderio di difendere il buon nome della chiesa e l'idea che lo scandalo avrebbe fatto più danni che altro. Invece in molti paesi, a partire dalla Francia, è stato cruciale il ruolo delle vittime che si sono non di rado organizzate in associazioni e che hanno sottolineato come il bene primario deve essere innanzitutto quello della persona che ha subito violenza.
Tra gli elementi scaturiti nel corso della conferenza stampa di martedì scorso a Zurigo e messi in evidenza da parte di una vittima, e cioè da Vreni Peterer, c’è quello relativo all’abuso spirituale considerato il primo gradino che successivamente porta a comportamenti criminali di abuso e violenza. Ci sa dire qualcosa di più su questo aspetto, anche guardando ad altre realtà?
C’è sempre questa dinamica di un “padre spirituale” che per una sorta di desiderio di dominio esercita un potere talmente forte e pervasivo da arrivare a controllare la coscienza di questi fedeli che a lui si affidano. È un abuso estremamente violento perché stiamo parlando di controllo di una delle cose più intime che una persona possa avere: e cioè la propria vita interiore. L'abuso di potere si innesca su un abuso di coscienza di ordine spirituale. Per affrontarli bisogna andare alla radice del problema, e cioè all'idea stessa che il prete abbia un potere sociale che esercita senza controlli né verifiche, e senza che i laici lo possano in qualche modo mettere in discussione. Questo, secondo me, è questa il problema di fondo.
Iacopo Scaramuzzi, lei ha contezza di situazioni dove esponenti della chiesa cattolica hanno chiesto ufficialmente scusa alle vittime, in una prospettiva, diciamo, di giustizia riparativa?
Va detto che papa Francesco e papa Benedetto XVI hanno pronunciato delle parole generiche di scusa nei confronti un po' di tutte le vittime. Per quanto riguarda scuse più personali, cioè proprio nei confronti di specifiche persone che hanno subito abusi, questo è molto più raro. Io penso che sarebbe assolutamente opportuno che ci fossero delle scuse formulate nei confronti delle vittime, non in modo generico, ma proprio specifico da parte dei responsabili delle strutture, siano esse ordini religiosi o diocesi, e che hanno reso possibile o che hanno insabbiato questi abusi. Da questo punto di vista è interessante notare che si parla a volte della possibilità di indennizzare le vittime, cosa che spaventa molto i responsabili della chiesa che intravedono il rischio di dover pagare chissà quali cifre. Effettivamente, negli Stati Uniti alcune diocesi sono arrivate a dichiarare bancarotta proprio per la richiesta degli indennizzi. Ma parlando con alcune vittime e con chi queste vittime aiuta, si scopre che, prima ancora di chiedere i danni, esse desiderano proprio essere ascoltate e riconosciute. Cioè, desiderano che la chiesa ammetta gli abusi che sono avvenuti, che chieda scusa e riconosca il torto fatto. Già questo è un grandissimo atto di giustizia per molte vittime.
Il programma radiofonico "Chiese in diretta" - settimanale ecumenico di informazione religiosa di RSI/ReteUno - domenica 17 settembre è andata in onda con una puntata tutta dedicata agli abusi sessuali nella chiesa cattolica. Per riascoltare la puntata clicca qui.