Dossier del mensile “Voce Evangelica” sul diritto di voto alle donne
(ve/gc) “Nel 1928, in occasione della SAFFA, la prima esposizione nazionale sul lavoro delle donne che si svolse a Berna, tra i simboli ci fu una grande lumaca voluta per denunciare la lentezza con cui la Svizzera avanzava nel campo dell’introduzione del suffragio femminile. Se le donne avessero intuito allora che la battaglia sarebbe stata vinta, a livello federale, solo nel 1971, forse avrebbero scelto un animale ancora più lento”: comincia così l’introduzione al dossier che il mensile Voce Evangelica (edito dalla Conferenza delle chiese evangeliche di lingua italiana in Svizzera) propone nel suo numero di febbraio appena uscito e in cui approfondisce il ruolo che ebbero alcune donne evangeliche, attiviste per i diritti delle donne, ma anche le chiese evangeliche svizzere, nel lungo cammino verso l’uguaglianza di genere in campo politico.
L’altra metà del cielo elvetico è stato infatti escluso dai diritti politici a livello federale fino al 7 febbraio del 1971: quel giorno la maggioranza degli uomini svizzeri mise la parola fine all’impossibilità per le donne di votare, eleggere o essere elette, nonché firmare iniziative popolari e referendum. In alcuni casi a livello cantonale c’è voluto anche più tempo per raggiungere l’uguaglianza sul piano dei diritti politici. Fanalino di coda era l’Appenzello Interno che dovette introdurlo nel 1990 dopo la decisione del Tribunale federale. In questo quadro è interessante notare che in ambito evangelico la partecipazione decisionale delle donne alla vita ecclesiastica era la norma già prima del 1971.
Sul fronte del suffragio femminile le chiese evangeliche furono non solo delle pioniere in Svizzera, ma ebbero una vera e propria “funzione modello”, dice la pastora Gabriela Allemann, presidente delle Donne evangeliche, in una intervista pubblicata nel dossier.
Le prime donne svizzere a partecipare a deliberazioni in merito a questioni ecclesiastiche furono nel 1891 le ginevrine della locale chiesa libera, come si evince invece dall’articolo del ricercatore Pierre Aerne. Se le donne dell’Eglise évangelique libre de Genève potevano partecipare alle assemblee con voce deliberativa ed eleggere i propri rappresentanti, non potevano però essere elette. Contestualmente nel suo Statuto, la chiesa smise di parlare di soli “fratelli”, e inserì anche il riferimento alle “sorelle”.
Pochi anni dopo, nel 1898 segue anche la Chiesa libera del canton Vaud, mentre la Chiesa riformata dello stesso cantone nel 1908 introduce il voto attivo per le donne. Tuttavia, per accedere al diritto passivo, cioè di eleggibilità, le donne riformate vodesi dovranno aspettare il 1957.
In Svizzera tedesca assoluta pioniera era la Chiesa cantonale di Uri, con il voto alle donne nel 1905, che in un secondo momento tuttavia fu ritirato. Come spiega la pastora Alleman, livello ecclesiastico l’introduzione del voto per le donne non fu un percorso facile: “C’è chi predicava Bibbia alla mano la preminenza dell’uomo sulla donna, o la necessità che le donne stessero in silenzio; e c’è chi ribatteva dicendo che davanti a Dio siamo tutti e tutte uguali, che siamo uno in Cristo. I dibattiti erano animati”.
Nel corso dei decenni altre chiese cantonali introdussero il voto alle donne. Quella di Basilea Città - addirittura con una votazione popolare - introdusse il voto passivo per le donne nel 1920, e già dalla legislatura successiva, cioè nel 1924, nel Sinodo e nel Consiglio ecclesiastico furono elette le prime donne.
Il dossier di Voce Evangelica dedica inoltre un ritratto alla pacifista e femminista Clara Ragaz-Nadig (1874-1957), esponente del "socialismo religioso" e moglie del teologo riformato Leonhard Ragaz, per la quale l’esercizio dei diritti di tutti e tutte era una questione di giustizia sociale, e quindi di pace, perché “in uno Stato che condanna metà della popolazione a una condizione di perenne inferiorità, non c’è ancora quello spirito di giustizia e fratellanza che costituisce il fondamento della vera pace”.
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