La fede di un imprenditore

Essere cristiano significa pensare con la propria testa. L'investitore egiziano Samih Sawiris, costruttore del villaggio di Andermatt, sul senso della fede

06 gennaio 2015

Samih Sawiris, nato al Cairo nel 1957, proviene da una famiglia di imprenditori di fede copta, confessione cristiana professata da una parte della popolazione egiziana stimata tra il 6 e il 15%; negli ultimi tempi si è inasprita la persecuzione dei copti da parte di musulmani fanatici. Sawiris ha frequentato la Deutsche Evangelische Oberschule al Cairo e ha studiato ingegneria economica a Berlino. Nel 2009 ha iniziato i lavori di realizzazione di un grande villaggio turistico ad Andermatt. Si considera un credente moderato ed è dispiaciuto che il mondo osservi l'islam sempre più dal punto di vista dell'intolleranza.
 
Signor Sawiris, quand'è stata l'ultima volta che ha pregato?
Non sono uno che prega in modo tradizionale, non ho un modello specifico che seguo ogni volta e non prego nemmeno ogni giorno. Ma prego prima di mettermi in macchina e ogni volta che vedo una chiesa. Prego quando ho problemi e quando mi capita qualcosa di straordinario. Non posso dire, però, di essere uno che va regolarmente in chiesa la domenica. Una volta ci andavo, ma con il passare degli anni ho perso quella spinta che fa della preghiera un'abitudine. Anche se mi farebbe bene.
 
Per che cosa ha pregato l'ultima volta?
Ho pregato affinché intervenga nel caos che imperversa nel Vicino Oriente, in Iraq e in Egitto. Soffrono e muoiono troppe persone e sarebbe bene che intervenisse.
 
E servirebbe a qualcosa?
Penso che Dio faccia comunque ciò che vuole. Ma non c'è nulla di male a pregarlo e non costa niente. Non si può pensare che prenda parte a tutto quello che vogliamo noi. Non ho una fede così forte da poter affermare che qualcosa accadrà soltanto perché lo voglio, soltanto perché ho pregato al riguardo. Mia madre è così, lei ha questa fede ed è una cosa di lei che ammiro. Ma personalmente non sono così.
 
Come si pone nei confronti degli attuali sviluppi in Iraq e della persecuzione dei cristiani?
Laggiù si sta diffondendo un'incredibile primitività e il danno per la religione è enorme. In realtà l'islam è molto tollerante, 500 anni fa in Spagna e in Grecia i cristiani non erano tenuti a convertirsi, in un'epoca in cui i cattolici non accettavano i protestanti, i musulmani non obbligavano nessuno.
 
Quindi l'islam non è quello che si vede laggiù in questo momento.
No. L'islam autentico accetta il cristianesimo e l'ebraismo. Ciò che accade laggiù attualmente non ha nulla a che vedere con il vero islam. Purtroppo, però, oggi il mondo vede l'islam soltanto da questo punto di vista. E noi come minoranza cristiana ne soffriamo.
 
Che cosa di preciso la fa soffrire?
Non soffriamo per l'intolleranza della massa, ma per l'intolleranza della minoranza che è diventata radicale. Non è che metà dell'Iraq perseguita i cristiani, lo Stato islamico ammonta forse al 2% della popolazione. Ma vede che danni ha causato alle minoranze? Non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di fanatici. Anche se finiscono sulle prime pagine dei giornali non sono per nulla la maggioranza.
 
Ma credere serve poi a qualcosa?
A me serve, mi dà pienezza. E guida il mio comportamento. Se non avessi fede verrebbe a mancare il confronto tra la realtà e ciò che la fede prescrive. Per questo la fede è importante. Perché offre alle persone la possibilità di valutare dove esse si trovino.
 
Come e dove si manifesta nel quotidiano?
Dappertutto e in ogni momento. Si ha sempre una cattiva coscienza quando si usano modi duri o quando si prende di più o di meno di ciò a cui si ha diritto. La mia fede mi dà la possibilità di domandarmi: che cosa ho fatto per la società? E che cosa ho fatto soltanto per arricchire me stesso? Quando devo constatare quest'ultima cosa mi sento a disagio, dal momento che la mia fede è forte.
 
C'è dunque per lei una cattiva coscienza?
È importante come minimo sentirsi a posto con sé stessi e con il proprio Creatore. Si inizia credendo nell'esistenza di una forza superiore a sé stessi. Comunque la si voglia chiamare, è ininfluente.
 
Che cosa fa quando è preso dalla cattiva coscienza?
Prego per essere perdonato. Tra gli esseri umani si fanno errori e poi ci si chiede perdono, perché dovrebbe essere diverso con Dio? Credo che Dio sia indulgente. Per lo meno lo spero, altrimenti non avrei scampo. In ogni caso da sole le persone non fanno comunque quasi mai molta strada.
 
Come si manifesta la fede nelle sue attività imprenditoriali?
Purtroppo devo ammettere che la mia fede influisce ben poco nei miei affari. Il mio successo professionale non ha nulla a che vedere con la mia religiosità. Lavoro sodo non perché penso che Dio mi ricompenserà per questo, come fanno i calvinisti. Non sostengo questa tesi, non ci credo. E non credo nemmeno che molte persone lavorino così tanto a causa di Dio.
 
Come si vive allora da credente nel mondo degli affari?
Mio ha sorpreso constatare che nel mondo degli affari ci sono più credenti di quanto immaginassi. In questo campo i credenti non sono in numero maggiore o minore rispetto ad altri ambiti della società. Successo e denaro non hanno allontanato la gente da Dio quanto si potrebbe pensare. Ma conosco anche molte persone di successo che si occupano troppo poco di religione.
 
Fede e successo non sono quindi collegati?
Se il successo di queste persone avesse a che fare con la religione, sarebbero fallite già da tempo, perché non gestiscono i loro affari lealmente. È ingenuo pensare di poter avere successo se soltanto si prega abbastanza a lungo per ottenerlo! Anche un ateo può avere molto successo. A volte anche in modo più facile, perché chi non crede ha meno scrupoli. Si può essere duri e cattivi e ciò nonostante ricchi e socialmente apprezzati.
 
Dunque Dio non ha posto negli affari?
Per Dio, per come la vedo io, è più importante il modo in cui in linea di principio trattiamo gli altri. Per me la religione è una componente della vita quotidiana. Non si può semplicemente includere o escludere la religione a proprio piacimento a seconda del caso. Non sono per nulla dispiaciuto che Dio non sia presente davvero nei miei affari. Negli affari non si può nemmeno escludere che si faccia qualcosa che va contro la propria fede. Ma la mia religiosità mi aiuta ad accorgermene e a vergognarmene e questo è un bene.
 
Quando si è vergognato l'ultima volta?
Di certo non le farò alcun esempio, ma almeno lo ammetto. Tuttavia quando, per dire, si cova vendetta o si agisce per vendetta, quello è il tipico caso in cui ci si rende conto di far qualcosa che va contro la propria fede. Si tratta molto chiaramente di una debolezza.
 
Fa penitenza anche finanziariamente?
Noi credenti siamo esortati a donare parte dei nostri beni. Quanto, è una scelta individuale, ognuno lo interpreta come vuole. Io faccio donazioni naturalmente, quotidianamente, annualmente. Anche dopo questa vita. I miei beni non andranno interamente ai miei figli, ma saranno in gran parte devoluti a istituti di beneficenza. A favore di persone che non hanno avuto la possibilità di raggiungere da sole lo stesso standard di vita di cui godiamo in Occidente, dal momento che non godono del diritto all'uguaglianza. Ma non prescrivo alcuna percentuale.
 
Da dove nasce questo zelo nel donare?
L'idea che ciò che si ha non appartenga soltanto a sé stessi rispecchia un atteggiamento fondamentale cristiano. Mentono coloro che dicono di credere in Dio ma ignorano di avere una responsabilità nei confronti degli altri. Se sono credenti allora credono anche che gran parte della loro ricchezza gli è stata donata. Io la vedo come una fortuna, come un dono di Dio. Di conseguenza gli sono in debito qualcosa. (intervista a cura di Anna Miller; in "NZZ am Sonntag", 21.12.2014; trad. it G. M. Schmitt)