Pulizia etnica contro gli uiguri?

Il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale dell’ONU chiede spiegazioni al governo cinese

18 agosto 2018  |  Gaëlle Courtens

(ve) Campi di concentramento, indottrinamento forzato, torture e persino sparizioni. Negli ultimi 18 mesi la Cina ha promosso una massiccia campagna contro le minoranze musulmane, soprattutto a danno degli uiguri nella regione occidentale dello Xinjiang, ma anche di kazaki e musulmani di altre minoranze etniche del paese. Una repressione brutale, già definita dagli osservatori come la più vasta intrapresa dai tempi della Rivoluzione culturale.

Violazioni sistematiche dei diritti fondamentali
Il New York Times riferisce dell’esistenza di un migliaio di veri e propri lager, nei quali sarebbero state confinate - nel silenzio generale della comunità internazionale - un milione di persone. Gli internati sarebbero costretti a citare slogan e cantare canzoni propagandistiche se vogliono mangiare, e sarebbero interdetti dall’esercizio delle loro pratiche religiose. Secondo una dichiarazione rilasciata recentemente da un gruppo di dissidenti cinesi, all’interno dei campi tortura e morte sarebbero all’ordine del giorno. Inoltre, si stima che siano 2 milioni le persone costrette a “rieducazioni forzate” di indottrinamento, tra cui intellettuali uiguri e famigliari di giornalisti che hanno denunciato i raid governativi anti-islamici.

L’ONU chiede spiegazioni
La scorsa settimana il Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione delle discriminazioni razziali, con sede a Ginevra, riunito in sessione ancora fino alla fine del mese di agosto, ha chiesto spiegazioni. Gay McDougall, esponente del Comitato, ha parlato agli ufficiali governativi cinesi presenti della sparizione di un centinaio di studenti uiguri rientrati dall’estero, alcuni dei quali sarebbero stati uccisi. La responsabile ha affermato che le Nazioni Unite hanno "resoconti credibili" e si è detta "preoccupata dalle notizie secondo le quali Pechino ha trasformato la regione autonoma dello Xinjiang in un campo di internamento di massa". Secondo Pechino alcuni soggetti “deviati dall’estremismo religioso devono essere assistiti con un trasferimento e una rieducazione”. Un tentativo, quello degli esponenti cinesi, di spostare le politiche attuate in Xinjiang dal piano dei diritti umani a quello della sicurezza.

All’interno della minoranza uigura ci sono in effetti dei nuclei indipendentisti, con frange estremiste che hanno in passato organizzato azioni violente contro polizia e civili. Ma la campagna lanciata da Xi Jinping contro terrorismo ed estremismo, si è trasformata secondo le testimonianze che filtrano dallo Xinjiang in qualcosa di diverso: un esperimento di sorveglianza della popolazione senza precedenti, che va dalla chiusura di moschee al prelievo di campioni biologici.

“Sinizzazione” o pulizia etnica?
Insoddisfacenti, secondo il Washington Post - che non teme di parlare di pulizia etnica -, le risposte fornite dalle autorità cinesi al Comitato ONU, che hanno negato l’esistenza di “campi di rieducazione”, e hanno rigettato l’accusa di detenzioni arbitrarie.

Intanto sono migliaia i musulmani della minoranza Hui che da giorni manifestano contro la demolizione della Grande Moschea nella città di Weizhou, nella regione autonoma cinese occidentale di Ningxia. La cosiddetta "sinizzazione a tappe forzate" promossa da Pechino è indirizzata soprattutto contro credenti e pratiche religiose, incluse quelle degli oltre 20 milioni di musulmani. Ma non sono esenti da discriminazioni e repressione nemmeno i cristiani.

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