Il Sessantotto e il Terzo Mondo

La Dichiarazione di Berna, un manifesto redatto da alcuni teologi protestanti, promosse la nascita di un movimento per la giustizia sociale

21 agosto 2018

(Paolo Tognina) Nel corso di una conferenza stampa, nel gennaio 1969, alcuni teologi protestanti consegnarono al consigliere federale Willy Spühler, un manifesto, la "Dichiarazione di Berna", accompagnato da mille firme. Il manifesto chiedeva di ridurre le spese militari, aumentare gli aiuti allo sviluppo, controllare la piazza finanziaria svizzera, promuovere un commercio equo col Sud del mondo. "Il testo della "Dichiarazione di Berna" era redatto in termini del tutto secolari", commenta Anne-Marie Hollenstein, prima segretaria dell'organizzazione. "Non era un manifesto teologico, bensì un appello politico indirizzato all'opinione pubblica elvetica".

Anne-Marie Hollenstein

Giustizia sociale
All'origine della "Dichiarazione" ci furono alcune tesi presentate dall'etico romando André Bielèr alla Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera, nel 1966. Considerate troppo critiche da una commissione incaricata di esaminarle, furono accantonate. Bielèr, sostenuto da alcuni colleghi, decise allora di renderle pubbliche. "La conferenza stampa di presentazione delle tesi ebbe un'ottima eco nei media svizzeri", afferma Anne-Marie Holenstein, "ma i giornalisti concentrarono la loro attenzione quasi esclusivamente sull'impegno dei firmatari della "Dichiarazione" a donare il 3% delle loro entrate per quello che allora si chiamava l'aiuto allo sviluppo. Fu una reazione sintomatica per quell'epoca: tutte le altre richieste politiche contenute nella "Dichiarazione di Berna" furono completamente ignorate dai mezzi d'informazione". Il testo diventò ben presto la bandiera di un movimento che chiedeva maggiore giustizia sociale, una migliore distribuzione della ricchezza, e più attenzione per la situazione di povertà e sfruttamento dei Paesi del Sud del mondo.

Un occhio critico sulle multinazionali (Segni dei Tempi RSI La1)

Donne ed ecumenismo
Anne-Marie Holenstein fu la prima segretaria della "Dichiarazione di Berna", incaricata di promuovere la diffusione del manifesto e incrementare la raccolta di firme. "Avevo da tempo dei buoni contatti col movimento ecumenico. Per me, in quanto cattolica, quel movimento rappresentava un importante motore di cambiamento e di apertura", ricorda. Fu la teologa evangelica Marga Bührig a suggerire di nominarla nel comitato della "Dichiarazione di Berna".
Nel contesto di quell'incarico, Anne-Marie Holenstein ricorda un aneddoto curioso e che aiuta a capire quale fosse il clima sociale e politico alla fine degli anni Sessanta. "Quando dovetti aprire un conto bancario per la "Dichiarazione di Berna", l'impiegato mi disse che io, in quanto donna sposata, non ero autorizzata a farlo senza la firma di mio marito. Successe nel 1969, non avevamo ancora il diritto di voto. Ed era ancora in vigore il vecchio diritto matrimoniale".

Le Chiese e il Sessantotto (Segni dei Tempi RSI La1)

Commercio equo
La "Dichiarazione di Berna", redatta nel 1968 da un gruppo di teologi che intendevano protestare contro le crescenti disparità di condizioni di vita tra il Primo e il Terzo Mondo, raccolse presto migliaia di adesioni. E diede vita a iniziative concrete di cambiamento. "Ci furono presto molte azioni, come ad esempio la commercializzazione del primo caffè in polvere del commercio equo e solidale", ricorda Anne-Marie Holenstein. "Più tardi ci fu la vendita delle borse di juta, con cui sostituire i sacchetti della spesa in plastica: ricordo che ne vendemmo centinaia di migliaia. C'era un clima di cambiamento che facilitava la promozione di nuove idee. E molte donne cominciarono a impegnarsi. Penso in particolare alle casalinghe di Frauenfeld - e tra di loro Ursula Brunner - che ebbero il coraggio di lottare affinché la Migros pagasse un prezzo equo ai produttori di banane. Quello fu il primo passo verso la creazione del commercio equo".

Da Dichiarazione di Berna a Public Eye
La Dichiarazione di Berna ha recentemente cambiato il proprio nome e oggi si chiama Public Eye, e continua ad esercitare un ruolo critico nei confronti della società dei consumi e si occupa dei diritti umani e dell'ambiente nei rapporti tra Nord e Sud del mondo.

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