I diritti delle donne sono minacciati?

Manon Schick, Amnesty International: "In Svizzera abbiamo la possibilità di agire, di scendere in strada"

04 marzo 2018

Manon Schick, direttrice della sezione svizzera di Amnesty International dal 2011, propone una lucida analisi della violenza contro le donne.

Attualmente a che livello si situano le maggiori disuguaglianze tra donne e uomini in Svizzera?
In Svizzera, in termini di visibilità, la disuguaglianza è lampante per quanto riguarda la questione dei salari. A parità di posizione le donne continuano a guadagnare meno degli uomini e questa differenza si riduce solo lentamente o per nulla. Allo stesso tempo, la rappresentanza femminile in politica o nei consigli di amministrazione delle grandi imprese è ancora di gran lunga inferiore rispetto a quella che si riscontra in paesi con un livello di vita uguale al nostro, come i paesi scandinavi. Inoltre c’è tutto ciò che è invisibile: la violenza domestica e le molestie, in particolare sessuali. Queste aggressioni hanno acquisito oggi visibilità a seguito di diverse campagne, in particolare con l’hashtag #MeToo lanciato negli Stati Uniti. Improvvisamente si riconosce che questa violenza riguarda molte donne e che le donne hanno integrato il fatto di vivere con essa. Non possiamo accontentarci di una società in cui le donne adattano i loro comportamenti, non osano uscire la sera o hanno paura di ritrovarsi da sole con un collega.

Manon Schick, Amnesty International Svizzera

Pensa che questo prendere la parola pubblicamente con l’hashtag #MeToo rappresenti una speranza di fronte alle ingiustizie inflitte alle donne?
Non so se sia un segnale di speranza per una maggiore giustizia, perché pochissime di queste situazioni hanno portato a un’azione legale, ma concretamente questa campagna ha avviato un cambiamento di mentalità: una presa di coscienza di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è.

Che fare per cambiare la situazione?
In Svizzera abbiamo la possibilità di agire, di scendere in strada, di scrivere ai media, di mobilitarci sulle reti sociali senza rischiare troppo. È un’opportunità incredibile. Come sosteneva Eleanor Roosevelt, che aveva diretto il gruppo di redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la difesa dei diritti umani inizia al livello più basso, accanto a casa propria. Se non ci mobilitiamo affinché la Svizzera sia esemplare, non possiamo legittimamente dare lezioni agli Stati Uniti, all’Iraq o alla Corea del Nord.

Lei si considera femminista. Quali sono le sue rivendicazioni?
Il femminismo è la difesa dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Essere femminista significa battersi affinché le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini. In questo senso tendo a dire che tutti dovrebbero essere femministi, tanto gli uomini quanto le donne. Nessuno dovrebbe accontentarsi di una società in cui le persone si ritrovano private dei loro diritti fondamentali semplicemente perché sono nate “con il sesso sbagliato”. Dopo l’elezione di Donald Trump le donne sono scese in strada. Si sono rese conto che quelli che consideravano diritti acquisiti, il rispetto dei loro diritti negli Stati Uniti, venivano messi in discussione al più alto livello, dal presidente. Penso che questo evento ci abbia fatto prendere coscienza che i nostri diritti non sono ovvi e che in qualsiasi momento possono essere rimessi in discussione, indipendentemente dal paese in cui viviamo.

Dalla palestra al microfono (Segni dei Tempi RSI La1)

Ha l’impressione che oggi i diritti umani siano particolarmente minacciati?
Sì, penso che oggi siano messi estremamente in discussione. Valori come la tolleranza o l’accoglienza vengono oggi contestati. È quindi essenziale che tutte le persone che li sostengono si battano e si mobilitino. Sono valori universali e se permettiamo che la xenofobia, il ripiegamento su se stessi e la paura prendano il sopravvento, la società che si instaurerà non sarà quella che noi vogliamo.

La Milano di Miriam e Sumaya (Segni dei Tempi RSI La1)

Lei sostiene un ideale di vita. È legato a convinzioni spirituali?
I valori universali che sosteniamo si ritrovano nelle grandi religioni monoteiste. Provengo da una famiglia protestante, ma non sono stata battezzata e non sono credente. Non è la fede che guida il mio impegno. Ma c’è una convergenza di vedute: difendere i diritti fondamentali significa impegnarsi per determinate cause con persone che condividono i medesimi valori. È molto importante sapere che non siamo soli. Se fossi sola a condurre questa battaglia avrei rinunciato già da tempo. (intervista a cura di Laurence Villoz, da ProtestInfo; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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