Una sveglia per gli ingenui

Saïda Keller-Messahli getta uno sguardo dietro le quinte delle moschee svizzere e lancia l'allarme: "Gli islamisti si infiltrano nella nostra società"

01 novembre 2017

Saïda Keller-Messahli, musulmana, di origini tunisine, presiede il Forum svizzero per un islam progressista. Ha da poco pubblicato “Islamistische Drehscheibe Schweiz” (NZZ Libro, 2017), un libro in cui promette di far luce “dietro le quinte delle moschee”. In particolare, identifica nella Lega musulmana mondiale una rete che esporterebbe in Europa un islam ultraconservatore e vicino al terrorismo. Keller-Messahli, critica dell'islam, rimprovera le autorità elvetiche di essere ingenue e chiede una politica di tolleranza zero.

Dietro l'attentato di Barcellona c'era un imam che ha radicalizzato i credenti nella moschea. Recentemente è venuto alla luce il caso di un predicatore radicale che nella moschea di Bienne ha lanciato un appello all'annientamento degli infedeli. Ritiene che anche in Svizzera ci siano cellule terroristiche?
No, non credo. Sostengo però che facciamo troppo poco contro i predicatori radicali. Questi predicatori preparano il terreno di coltura per la violenza. Sono da considerare degli incendiari.

Che cosa può fare la Svizzera contro questi predicatori radicali?
La Svizzera può espellere i predicatori islamisti stranieri o impedirne l'ingresso nel Paese. Le nostre autorità potrebbero inoltre collaborare maggiormente con organizzazioni e persone all'estero che combattono i predicatori islamisti nei loro Paesi.

Nel suo nuovo libro “Islamistische Drehscheibe Schweiz” lei descrive come le nostre società vengano infiltrate dagli islamisti. Cita altri imam radicali che fanno proselitismo nelle carceri e nelle moschee, per esempio a Wetzikon o a Regensdorf.
Purtroppo l'imam di Bienne non è un caso isolato. Questo tipo di discorso, inteso a suscitare in chi ascolta sentimenti di vittimismo, avversione, intolleranza e odio, è presente in diverse moschee. Gli imam radicali diffondono tra la gente nelle carceri e nelle moschee anche opuscoli e cosiddetta letteratura. Questi opuscoli vengono stampati soprattutto in Arabia Saudita, in Kosovo, in Macedonia e in Bosnia e contengono idee radicali. L'obiettivo è quello di far sì che tutte le moschee adottino questa versione dell'islam. Noto che molti attori non agiscono in modo indipendente, ma sono legati a organizzazioni che si trovano al di fuori della Svizzera. C'è del metodo dietro tutto questo. Sembra che gli imam abbiano un chiaro mandato.

Lei chiama in causa la Lega musulmana mondiale. Perché?
La Lega musulmana mondiale è un'organizzazione attiva a livello globale. Chi non ne ha una conoscenza approfondita ne ignora la pericolosità. La Lega musulmana è guidata dall'Arabia Saudita e vi aderiscono circa 55 Stati islamici. Collabora strettamente con i Fratelli musulmani e gruppi salafiti in oltre 120 paesi. Scopo della Lega è di imporre l'interpretazione salafita dell'islam in tutto il mondo. Per fare ciò si serve della rete delle moschee e perciò contribuisce anche alla costruzione di moschee; essa dipende da queste strutture, perché attraverso le moschee può raggiungere i musulmani ed esercitare il suo potere. Tuttavia la Lega musulmana mondiale è lontana dalla spiritualità e dalla religione, è incentrata unicamente sul potere e quindi determinata a combattere tradizioni musulmane o interpretazioni del Corano “diverse”.

Ciò significa che in Svizzera vengono costruite moschee con denaro proveniente dall'Arabia Saudita?
Sì, la Lega musulmana mondiale contribuisce anche in Svizzera al finanziamento di moschee, scuole coraniche e di imam. Prima le moschee si insediavano in garage, nelle aree industriali, operavano in modo dimesso e non facevano clamore. Ciò è cambiato. Oggi vengono costruite moschee da quattro-cinque milioni di franchi - come quelle a Netstal, a Volketswil, a Wil o prossimamente a Frauenfeld. Le moschee non sono più dissimulate, ma puntano ad essere più riconoscibili e rappresentative. I finanziatori hanno perso ogni inibizione. Ci sono molti soldi a disposizione.

Le moschee dichiarano che il denaro proviene dai contributi dei fedeli...
Questo lo dicono loro. In realtà è difficile tracciare i flussi finanziari, perché vengono consapevolmente occultati. Ma se si indaga più a fondo e si fa caso alle persone presenti alle inaugurazioni delle moschee è chiaro come tutti i fili convergano. Quelli della Lega musulmana mondiale si presentano raramente di persona, ma inviano alleati, mufti dal Kosovo o dalla Macedonia collegato alla Lega musulmana mondiale, come è accaduto di recente a Plan-les-Ouates presso Ginevra. Questo mi preoccupa. È nel loro interesse che sorga il maggior numero possibile di moschee e centri culturali islamici.

Tra il velo e il diploma. Il Corano in una prospettiva moderna, Segni dei Tempi RSI La1

Quante sono, in Svizzera, le moschee che lei considera radicali?
Non sono in grado di fornire cifre, ma ritengo che una netta maggioranza delle moschee sia estremamente conservatrice. E la maggioranza degli imam che predicano nelle moschee svizzere ha una propensione per il salafismo. Sostengono un islam in cui la maggior parte dei musulmani in Svizzera non può identificarsi. La maggior parte delle moschee rappresenta una sorta di società parallela isolata dal resto e che guarda soltanto ai propri interessi. Sono in pochi ad avere un'idea di ciò che realmente accade nelle moschee, di come lì già i bambini vengano indottrinati. Fanno proselitismo e impediscono un'autentica integrazione sociale.

Quali sono le conseguenze?
Le conseguenze sono ragazzi che non vogliono più dare la mano all'insegnante, segregazione sociale, leggi proprie, disprezzo degli altri, delitti d'onore. Non può immaginare quante persone confrontate con queste conseguenze mi contattano: giovani picchiati in casa perché vogliono una vita più libera di quella ammessa dai genitori ultraconservatori o perché si sono innamorati della persona “sbagliata”.

Come si può porre un freno a questi sviluppi?
Bisogna monitorare molto attentamente tutte le moschee e i predicatori ospiti. Finora agli islamisti radicali si è semplicemente dato campo libero ed essi hanno sfruttato la situazione per rafforzare il proprio potere.

Sarebbe però difficile monitorare tutti gli imam, anche solo per le difficoltà di traduzione...
Tuttavia sarebbe possibile. Innanzitutto dovremmo tenere un registro pubblico degli imam e delle guide spirituali islamiche in Svizzera. In secondo luogo qualcosa come una autorizzazione ufficiale dovrebbe essere la condizione per poter espletare tale funzione. Oggi in pratica chiunque può proclamarsi imam e andare avanti. Sarebbe perciò importante dotarsi di una formazione per imam riconosciuta dallo Stato e del tutto indipendente dall'estero. Sarebbe anche da prendere in considerazione un progetto di legge sull'islam che regoli tutti i punti spinosi, compresi i finanziamenti dall'estero. Su questo aspetto potremmo imparare dall'esperienza austriaca.

Queste misure sarebbero sufficienti per far fronte al problema?
Sono necessarie chiare decisioni politiche. Che cosa tolleriamo? Intendiamo tollerare nelle moschee scuole coraniche non ufficiali che impongono il velo già alle bambine di quattro anni? Fino a che punto si può permettere ad agenti salafiti provenienti dall'estero di essere attivi e istigare le persone in Svizzera? Abbiamo la capacità e il coraggio di dire: “Questo non siamo più disposti ad accettarlo”? La politica deve chiarire che noi in Svizzera non vogliamo altre moschee. Dovremmo limitarne il numero. Trecento sono più che sufficienti. In Svizzera abbiamo più moschee che in Belgio. Prima o poi dovremo dire basta. Dobbiamo correre il rischio e tener testa all'Arabia Saudita: “Smettetela di manipolare la gente qui da noi. Smettetela di introdurre da noi denaro e veleno sociale. Qui in Svizzera dovremmo essere noi stessi a formare gli imam.

Capire l'islam?, Segni dei Tempi RSI La1

Lei chiede una politica di tolleranza zero. È compatibile con i nostri valori come la libertà di espressione e la libertà religiosa?
Ci sono limiti a ogni forma di libertà proprio lì dove essa viene utilizzata per danneggiare le società liberali. Gli ambienti fondamentalisti sfruttano spudoratamente il concetto di libertà religiosa. La loro visione è contro la mia libertà, contro me come donna, contro la nostra società. Queste persone non riconoscono la nostra società democratica.

Nel suo libro rimprovera autorità e politici svizzeri di ingenuità...
Purtroppo molti non si rendono conto della stretti legami tra i fanatici islamisti in Svizzera e all'estero. Danno prova di una clamorosa ingenuità nei rapporti con l'islam organizzato. Coinvolgono nel dialogo proprio quegli imam che respingono il nostro stile di vita e che non mostrano il minimo rispetto per la nostra società. La mia esperienza dimostra che nella sinistra domina purtroppo un misto di ignoranza e di atteggiamento paternalistico: credono che le minoranze debbano sempre essere tutelate. Per quanto riguarda l'islam, però, non si operano le necessarie distinzioni. Perché la stessa minoranza islamica soffre per l'esistenza al suo interno di un gruppo radicale che la terrorizza. La minoranza musulmana è minacciata dai propri sottogruppi radicali, ma i politici di sinistra non vogliono rendersene conto. Preferiscono nascondere i problemi sotto il tappeto.

Può fare qualche esempio?
Quando sollevo critiche e rendo attenti sul fatto che qui qualcosa non va, allora la sinistra reagisce di solito come ha fatto di recente davanti alle autorità giudiziarie di Zurigo a guida socialista. Mi impongono l'alt quando dico pubblicamente che abbiamo difficoltà con gli imam nelle carceri. Il Partito socialista avrebbe tutto da guadagnare se si facesse avanti e dicesse: “Abbiamo un problema nel carcere di Pöschwies o in Svizzera e lo riconosciamo”. Ciò otterrebbe il risultato di spuntare le armi all'UDC. Il Partito socialista dovrebbe passare all'offensiva e invece fa proprio il contrario.

Formazione degli imam in Svizzera, Segni dei Tempi RSI La1

Lei critica autorità e politici. Ma non dovrebbero essere anche i musulmani moderati ad attivarsi, a prendere le distanze dagli islamisti e fare qualcosa al riguardo?
Certo, è ovvio. C'è bisogno di più persone che si facciano avanti. Io dico sempre: “Andate fuori, parlate, fate, ribellatevi!” Il problema è che la maggior parte dei musulmani non vuole avere nulla a che fare con il mondo delle moschee e con l'islam organizzato politicamente. Bisogna comprendere il rapporto tra i musulmani laici in Svizzera - l'85% dei musulmani - e l'islam organizzato politicamente: il rapporto è carico di tensione e di sfiducia. Gli uni non accettano gli altri.

Ma l'85% è una maggioranza enorme rispetto al 15% che sostiene l'islam organizzato politicamente. Perché questa maggioranza non si oppone?
Non lo so. La maggioranza è apolitica. La maggioranza vuole una vita tranquilla e pacifica. Lavoro, famiglia e ferie sono le cose che contano, il resto non ha importanza. Inoltre molti di loro si definiscono in primo luogo musulmani. Così come la maggior parte dei cristiani non antepone il proprio essere cristiani a tutto il resto. La fede è certamente parte della loro identità, ma non è la parte determinante. Non si impegnano e non si espongono per questioni religiose.

Perché per lei è diverso? Perché prende posizione e denuncia?
Onestamente non lo so. Ho cominciato già 13 anni fa a impegnarmi per un islam diverso. Allora mi sono resa conto che i responsabili delle associazioni islamiche non parlano a nome mio. Dicevano di parlare per tutti i musulmani, ma io mi son detta: “No, voi non parlate per me. Io non voglio le cose che chiedete voi”. Reclamavano per esempio cimiteri musulmani, ma non abbiamo bisogno di essere divisi dopo la morte.

Ma c'è una differenza tra “non essere d'accordo” ed esporsi pubblicamente e rendersi vulnerabili...
Credo che il fatto di prendere posizione dipenda dalla mia indole. Sono piuttosto il tipo di persona che batte il pugno sul tavolo. È sempre stato così. Già da ragazzina, quando frequentavo la prima elementare a Grindelwald e parlavo ancora tedesco a stento, mi sono alzata in classe e ho detto ad alta voce all'insegnante: “Io protesto”. Quella parola la conoscevo! Protestavo perché non ero d'accordo che l'insegnante ci desse così tanti compiti per casa. Penso che sia semplicemente il mio modo di essere. (da NZZ 26 agosto 2017; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Saida Keller-Messahli

Saïda Keller-Messahli è nata in Tunisia nel 1957 e ha trascorso parte della sua infanzia a Grindelwald. In seguito ha studiato a Zurigo romanistica, letteratura inglese e cinema. Ha fondato il Forum per un islam progressista e nel 2016 ha ricevuto il Premio per i diritti umani della Società internazionale per i diritti umani.

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