Etica protestante e successo economico

I paesi protestanti hanno un'economia più florida di quelli cattolici?

11 giugno 2017  |  Alan Cassidy

Nel 500esimo anniversario della Riforma la nota tesi di Max Weber, secondo cui ci sarebbe un forte nesso tra etica protestante e spirito del capitalismo, sembra avere ancora una certa validità.
Osservando la situazione dalla crisi finanziaria del 2008 in poi, si può credere di vedere una conferma della tesi di Max Weber. Non sono proprio Italia, Spagna e Portogallo, i Paesi cattolici del sud, a essere particolarmente indebitati? E non va forse decisamente meglio al nord protestante? Il candidato alla presidenza francese Emmanuel Macron si è espresso così: “C'è una specie di guerra di religione tra l'Europa del nord calvinista, che non discolpa i peccatori, e un'Europa del sud cattolica, che vuole lasciarsi tutto alle spalle”. Macron lo diceva due anni fa, quando ancora era ministro dell'economia e parlava della gestione dell'Eurocrisi. La sua dichiarazione dimostra che quanto affermato da Weber sull'influenza della religione è ancora oggi tra i temi più discussi della sociologia.

Emmanuel Macron, presidente francese

Lavoro ed etica religiosa
Max Weber cercava una risposta alla domanda relativa alle origini dello “spirito del capitalismo”, l'aspirazione a uno sviluppo sempre più marcato, a una maggiore produttività. E trovò la spiegazione nella Riforma. Non in quella di Martin Lutero, bensì in quella di Giovanni Calvino e nella sua concezione del lavoro. Calvino, che era più interessato alla salvezza dell'anima che all'economia, elevò il lavoro a un livello religioso: chi diventa ricco sulla terra gode con ogni evidenza del favore di Dio. Alla formazione di una “etica protestante del lavoro” contribuì il fatto che in particolare il calvinismo esorta le persone a una “condotta di vita ascetica”, scrisse Weber. Ciò significa anche: non si sperpera il denaro, bensì lo si risparmia e si costituisce il capitale.
Per lungo tempo molte cose hanno fatto pensare che ci fosse qualcosa di vero nella tesi di Weber. In Europa l'industrializzazione si impose dapprima nelle regioni protestanti: in Inghilterra, in Olanda o nella riformata Svizzera orientale, una delle prime zone industrializzate in assoluto. Per l'Europa cattolica ci volle un po' più di tempo. E ancora all'inizio del 20esimo secolo, quando il saggio di Weber venne pubblicato per la prima volta, in Germania le regioni protestanti erano più ricche di quelle cattoliche.

Il riformatore di Ginevra Giovanni Calvino

Un modello discutibile
Oggi si può dubitare che il successo economico trovi davvero spiegazione nella confessione. In Germania entrambi i grandi Länder cattolici, Baviera e Baden-Württemberg, sono ai vertici dell'economia tedesca; i Länder protestanti al nord e a est sono già da tempo rimasti indietro. Anche l'Italia settentrionale o l'Irlanda, due regioni spiccatamente cattoliche, presentano sul lungo periodo un reddito pro capite almeno equivalente - se non addirittura maggiore - a quello della parte protestante dell'Europa. E in Svizzera cantoni cattolici come Zugo e Svitto sono tra quelli di maggior successo. Tutte sciocchezze, quindi?
Non proprio. Nel 2007 l'economista tedesco Horst Feldmann analizzò i dati del mercato del lavoro relativi a 80 Stati e si imbatté in un chiaro modello: nei Paesi protestanti sono sensibilmente più numerose le persone che svolgono un lavoro retribuito. In media il tasso di occupazione in quei Paesi era di circa il sei percento superiore rispetto a quello di Stati in cui la religione dominante era un'altra - cattolicesimo, islam, induismo o shintoismo (Giappone). Se si considerano esclusivamente le donne, il tasso di occupazione è persino più elevato dell'11%.
Il modello di Feldmann teneva conto anche delle diverse regolamentazioni del mercato del lavoro, dell'imposizione fiscale, dell'influenza dei sindacati e di volta in volta il rapporto tra religione e tasso di occupazione rimaneva statisticamente significativo.

Nei Paesi protestanti sono sensibilmente più numerose le persone che svolgono un lavoro retribuito.

Formazione e sviluppo economico
Quindi dietro c'è davvero l'etica protestante del lavoro? Anche l'indagine svolta alcuni anni fa dagli economisti Ludger Wössmann e Sascha Becker, nel Land Brandeburgo, ha rilevato delle differenze: alla fine del 19esimo secolo, le regioni protestanti erano nettamente più avanzate economicamente e i salari dei loro abitanti più alti rispetto a quelle cattoliche. Secondo i ricercatori, però, la causa di questa differenza sta altrove: e cioè, nella formazione. Il vantaggio economico dei protestanti si spiega con una formazione migliore rispetto ai cattolici e non con un qualsivoglia atteggiamento nei confronti del lavoro.
Per Wössmann e Becker responsabili di questa differenza sono certamente le influenze religiose. Nella visione protestante ogni uomo - e, almeno altrettanto importante, ogni donna - deve leggere la Bibbia per conto proprio ed essere in grado di comprenderla, senza dipendere da un sacerdote che se ne faccia carico per lui o lei. È stata questa visione a dare grande impulso all'alfabetizzazione nelle regioni protestanti. Lo sviluppo economico ne è una conseguenza.
Oggi, 500 anni dopo l'inizio della Riforma, il contrasto economico in Europa si può ancora vedere e percepire: un nord ricco e un sud povero. La Riforma sembra ancora far sentire i suoi effetti. (da Tages-Anzeiger, trad. it. G. M. Schmitt)

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