Le religioni e i fondamentalismi

Il fondamentalismo è un fenomeno di cui si parla molto, che preoccupa, che fa paura, di cui vediamo i frutti, ma del quale nel contempo non individuiamo facilmente le radici

15 marzo 2017

Secondo la psicologa e teologa viennese Susanne Heine, il fondamentalismo nasce dalla sensazione che la propria religione sia in pericolo, ed è una mentalità che spinge a rifugiarsi sotto una tenda, la tenda delle proprie convinzioni incrollabili. Chi vive sotto la tenda possiede la verità, chi sta fuori è nemico della verità.

A Susanne Heine, che è stata docente all'università di Zurigo, chiediamo innanzitutto di definire che cosa sia il fondamentalismo.
Detto in poche parole, il fondamentalismo lotta contro la secolarizzazione, contro ogni critica espressa dalla società moderna nei confronti della religione, contro il pluralismo - che è considerato un fattore di confusione -, e si sente sotto attacco. Il fondamentalismo è un fenomeno recente che coinvolge gruppi che si sentono vittime dell'attuale crisi, che sentono la propria identità minacciata e che, in particolare, temono di perdere la loro identità.

Susanne Heine

Il fondamentalismo nasce dalla sensazione che la propria religione sia in pericolo

Lei accenna alla crisi della società, alla crisi dell'identità. Si può dire che il fondamentalismo sia attratto dalle certezze, dai dogmi?
Non direi che il fondamentalismo sia attratto da qualcosa, al contrario, è il fondamentalismo ad esercitare un'attrazione a causa dell'incertezza, dell'insicurezza, della ricerca di un'identità e di un'appartenenza presenti in un mondo sempre più complesso come il nostro, basato sulla competizione e che esclude molte persone. Il fallimento di imprese, le ristrutturazioni, i licenziamenti creano un clima di incertezza esistenziale. E poi c'è una perdita generale di valori. Molte persone hanno l'impressione di non appartenere più a una comunità basata su precisi valori. Chi promuove ancora valori come la solidarietà, o il mutuo aiuto? L'impressione generale è quella di essere esposti, senza protezione. Tutto questo rende perciò attraenti i principi fondamentalisti, quelli islamici, ad esempio, ma anche quelli basati sulla Bibbia.

Abbiamo accennato all'immagine della tenda, uno spazio sicuro e protetto sotto il quale i fondamentalisti amano rifugiarsi. Ci potrebbe illustrare meglio questa immagine?
Quella della tenda è un'espressione coniata da Vamik Volkan, uno psicoterapeuta americano di origini cipriote, il quale ha appunto parlato di una "mentalità da tenda". Quello che lui dice è che i fondamentalisti si rifugiano sotto una tenda che offre loro sicurezza. In questa tenda essi condividono tutti i valori, mentre quelli che stanno fuori dalla tenda sono percepiti come nemici. Questo fa nascere una visione del mondo in bianco e nero: noi che siamo nella tenda siamo i buoni, possediamo la verità, e quelli che stanno fuori dalla tenda sono i peccatori, quelli da condannare. A volte questa visione si spinge fino a dire che chi sta fuori deve essere combattuto. Ci sono due varianti del fondamentalismo. Una variante sceglie di ritirarsi dal mondo - mi ritiro nella mia tenda, al sicuro, mi distacco dal mondo e cerco di evitare ogni contatto. L'altra variante sceglie invece l'azione verso l'esterno e dice: devo combattere gli altri perché mi minacciano.

Il fondamentalista combatte il mondo perché mette in discussione la sua identità

Cristiani liberati dallo Stato Islamico (video Segni dei Tempi RSI La1)

Abbiamo capito che il fondamentalismo tende a dividere il mondo in due campi distinti: quello del bene e quello del male, dei buoni e dei cattivi. I buoni hanno la verità, vivono insieme, si sentono minacciati da chi non condivide i loro principi. Susanne Heine, il fondamentalismo è una reazione irrazionale, "di pancia"?
Da un lato, sì, perché il sentirsi minacciati è innanzitutto un sentimento. Ma non bisogna dimenticare che i fondamentalisti sono guidati anche dalla razionalità, da una razionalità empirica. Per questo io li definisco volentieri gli "empirici" tra i religiosi. Per i fondamentalisti, ad esempio, i testi biblici sono da prendere alla lettera. Non devono essere interpretati, o capiti nel contesto della situazione in cui sono stati scritti, o analizzati. E questo può spiegare anche il loro successo. Noi viviamo oggi in una cultura empirica. Pensiamo al mondo della scienza: solo le scienze empiriche godono di considerazione e sono prese sul serio. Tutte le altre scienze - compresa la teologia -, sono considerate prive di valore. Io credo che questo spieghi in buona parte il successo del fondamentalismo.

In un mondo che apprezza la matematica, la statistica, le scienze cosiddette esatte, un mondo "empirico", appunto, che spesso non sa che cosa farsene dello sforzo di analisi e di interpretazione delle scienze umanistiche, fa dunque presa la semplificazione offerta dal fondamentalismo. E poi c'è l'attrazione costituita dalla violenza...
Non è necessariamente la violenza a costituire un elemento di attrazione. Ciò che attira è la possibilità di entrare a far parte di una comunità che offre una base, una solidità. Il messaggio, rivolto soprattutto ai giovani, è questo: "vieni con noi, tu sei uno di noi.  Ti offriamo sicurezza, ti troverai tra persone che la pensano come te, agiamo tutti allo stesso modo". La violenza non è necessariamente in primo piano. Il fondamentalismo non è sempre radicale, ma certamente può radicalizzarsi molto in fretta.

Donne e religioni (video Segni dei Tempi RSI La1)

Il fondamentalismo risponde dunque a un bisogno di appartenenza, di fare parte di una comunità, di trovare una propria identità. Ma per diventare fondamentalisti, bisogna studiare? O basta l'adesione più o meno fanatica?
I fondamentalisti hanno una formazione, a volte anche approfondita. I combattenti dello Stato Islamico, ad esempio, hanno una formazione teologica. Bisogna però dire che si tratta di una formazione di tipo catechistico. Ciò che viene insegnato è una selezione di scritti tratti dal Corano e dalla tradizione del profeta che giustifica le posizioni fondamentaliste. Questa è la formazione che viene trasmessa. Anche i fondamentalisti cristiani promuovono questo tipo di insegnamento, un apprendimento di nozioni, senza una riflessione critica.

Sappiamo che il fondamentalismo è un fenomeno che tocca non solo l'islam, ma anche il cristianesimo, per non parlare dell'induismo e del buddismo. C'è un tratto comune a tutti i fondamentalismi?
Sì, c'è un tratto caratteristico che lega tutti i fondamentalismi e questo tratto comune è il desiderio di realizzare le promesse che Dio fa ai credenti. I fondamentalisti, mi limito ora a cristiani e musulmani, vogliono realizzare, qui e ora, le promesse contenute nella Bibbia e nel Corano. Le promesse di Dio contenute nei testi riguardano il futuro: la seconda venuta di Gesù, la resurrezione dei morti, il giudizio finale che separerà i buoni dai cattivi e così via. I fondamentalisti vogliono realizzare tutto questo già qui e ora. A tutto ciò è collegata la visione di un mondo puro e salvato. Nella Bibbia, ad esempio, nel libro dell'Apocalisse, si parla della Gerusalemme celeste, una città nella quale non ci saranno più né dolore, né lacrime. Nel Corano si parla del paradiso, un luogo in cui si vive una vita appagata e felice. I fondamentalisti vogliono realizzare tutto questo, già ora. Il loro tratto caratteristico comune è la realizzazione, qui e ora, di un mondo perfetto.

Tutti i fondamentalisti vogliono realizzare, qui e ora, un mondo perfetto

Per contrastare il fondamentalismo, e più in generale la tendenza a irrigidirsi sulle proprie posizioni, lei, insieme a molti altri, insiste sulla necessità del dialogo, dell'incontro, dello scambio, anche tra culture e religioni diverse. Tutto questo è ostacolato però, oggi, da un sentimento di paura: paura dello straniero, paura del diverso, paura dell'invasione...
Io credo che dipenda dall'intensità di questo sentimento. In che misura le persone sono veramente minacciate, o pensano di essere minacciate? Il sociologo americano William Thomas ha formulato un'ipotesi, il cosiddetto "teorema di Thomas". Secondo il sociologo, le persone agiscono in base al modo in cui percepiscono e definiscono la loro situazione. Che definizione danno le persone della situazione in cui vivono? Tutto questo non riguarda solo i singoli individui, ma anche l'intera collettività. E qui vedo una forte responsabilità dei mezzi di comunicazione di massa che forniscono una determinata visione dell'islam, ad esempio. E questo può far crescere la paura.

La paura, la sensazione di essere minacciati, si combatte - dice lei - mediante il dialogo. Ma con chi dev'essere condotto questo dialogo, con i fondamentalisti?
Non si tratta tanto dei fondamentalisti - con i quali è difficile stabilire un dialogo -, quanto delle persone che sono preoccupate, insicure, e che non sono ancora finite nella "tenda" di cui abbiamo parlato prima. Si tratta anche di allacciare un dialogo con i giovani che si sentono privi di un orientamento. A questo proposito mi sembra molto importante il ruolo della formazione. Nel nostro mondo secolarizzato - che sarebbe più giusto definire "neutrale dal punto di vista religioso" -, nessuno dev'essere obbligato a credere qualcosa, ma è importante sapere il più possibile a proposito delle convinzioni degli altri. Se non conosco l'altro, quello mi apparirà sconosciuto e forse anche minaccioso e nemico. Questa formazione religiosa dovrebbe riguardare anche gli agnostici, affinché imparino a conoscere anche questo aspetto. (a cura di Paolo Tognina)

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