Un prete inghiottito dalla guerra siriana

Da oltre mille giorni manca ogni notizia di Paolo Dall'Oglio, prete italiano e pioniere del dialogo interreligioso

01 agosto 2016

(ve/stampa) Da tre anni non si hanno più notizie di Paolo dall'Oglio, il prete fondatore della comunità interreligiosa di Deir Mar Musa in Siria. Tre anni senza risposte, tra notizie false e avvistamenti mai confermati, che hanno favorito il calare dell'oblio sul suo destino.

Un gesuita contro Assad
Dall'Oglio, gesuita, italiano, impegnato contro il regime di Assad sin dall'inizio del conflitto siriano, nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 2013 fu rapito da un gruppo di miliziani armati nei dintorni di Raqqa, città nelle mani dell'insurrezione e oggi una delle roccaforti di Daesh. Il monastero di Deir Mar Musa, nel deserto a nord di Damasco, era l'esempio di come la fede, nelle sue diversità, potesse unire piuttosto che dividere.

Era convinto che la fede potesse unire più che dividere.

Le sue idee sulla Siria erano in contrasto con quanto espresso dalle autorità cristiane siriane e dal Vaticano. Aveva più volte criticato la posizione italiana, senza risparmiare l'allora ministro degli Esteri, Emma Bonino, e l'ignavia europea, "irresponsabile nei confronti della rivolta del popolo siriano". Non esitava ad affermare che sulla crisi siriana in Italia si tendesse a una certa smemoratezza e non si stancava di sottolineare che il carattere autoritario del regime non era una novità e che le camere di tortura non erano un'invenzione recente, ma parte dell'organizzazione della vita politica, sociale ed economica quale mezzo sistematico per soverchiare e umiliare l'umanità dei cittadini attraverso lo strapotere dei servizi segreti e di sicurezza. Nonostante sapesse che continuare a rivolgere accuse al governo di Assad gli avrebbe impedito di tornare a Deir Mar Musa, Abuna Paolo - così come lo chiamavano i siriani -, non poteva tacere. Quella della repressione era stata la costante degli ultimi quarant'anni in Siria.

Contrastare i poteri forti
Paolo Dall'Oglio parlava con dolore di quanto lo avesse deluso il presidente Bashar Assad, che durante il primo decennio al potere era visto da molti come colui che avrebbe potuto traghettare il paese, emancipandolo da una situazione di arretratezza che lo caratterizzava sul piano culturale, istituzionale e dei diritti, per orientarlo verso una maturazione sociale e civile adeguata a uno Stato moderno e democratico. Questo era il desiderio e auspicio a cui in tanti avevano creduto, ma per concretizzarlo sarebbe stato necessario prosciugare la palude delle mafie criminali, dei commerci di armi, dello strapotere dei servizi segreti così come della strumentalizzazione degli estremismi musulmani teleguidati per obiettivi di potere.

Intervista a p. Paolo Dall'Oglio (Segni dei Tempi RSI La1)

Il negoziato e la democrazia
Il missionario - autore di alcuni testi estremamente lucidi, come "La sete di Ismaele" (Gabrielli editore), o "Collera e luce" (emi) - aveva tracciato un quadro chiaro della situazione e auspicava su di essa una consapevolezza globale. "Non si può immaginare una possibile pacificazione negoziale mettendo sullo stesso piano il regime e la resistenza siriana, il boia e il torturato. Compiremmo un errore". Il gesuita credeva fermamente che la missione della comunità internazionale non fosse solo quella di pacificare la Siria, giungendo ad una qualche forma di armistizio, ma che si arrivasse a tale risultato attraverso un processo di maturazione democratica. Era questa, allora, la grande richiesta dei siriani. Una richiesta che meriterebbe di essere ripresa per contrastare con il confronto costruttivo i tempi bui, terribili, che stiamo vivendo. (fonte: Huffington Post)

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