L'immagine delle donne musulmane

A colloquio con Sumaya Abdel Qader, coordinatrice del progetto Aisha contro la violenza sulle donne

19 aprile 2016

Sumaya Abdel Qader, sociologa, nata a Perugia, figlia di immigrati giordano-palestinesi, è stata tra i fondatori dell'associazione dei Giovani Musulmani d'Italia. Ha pubblicato, per l'editore Sonzogno, "Porto il velo, adoro i Queen", un ritratto delle giovani musulmane italiane. Con il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e Monza-Brianza e il supporto del Comune di Milano, ha promosso il progetto "Aisha" (guarda il video), un'iniziativa che mira a sensibilizzare sui diritti delle donne. Sposata, madre di tre figli, con lei parliamo dell'immagine e del ruolo delle donne nella comunità musulmana.

Nel mondo musulmano vediamo donne sottomesse, o almeno che rispondono a questa immagine, ma anche donne che vanno alla ricerca di altri ruoli. Qual è a suo avviso la vera identità delle donne musulmane?
L’identità delle donne musulmane è molto plurale. C’è un po’ di tutto. Chi banalizza la condizione della donna musulmana nell’islam fa un grande errore. C'è una grandissima pluralità.

È diverso essere donna musulmana in una paese a maggioranza musulmana e in Occidente?
La risposta è complessa, perché i paesi a maggioranza musulmana sono diversi, sono tanti e nello stesso paese spesso le cose cambiano da una città, a un villaggio, alla periferia. Quindi ancora una volta, non si può dare una risposta univoca. Una donna musulmana che sceglie di portare il velo in alcuni paesi europei si trova in difficoltà perché non può accedere a spazi pubblici, non può fare determinati lavori se porta il velo, mentre nel proprio paese d’origine sì. Oppure, nel proprio paese di origine, potrebbe essere limitata nella sua libertà personale.

In che misura l’elemento religioso determina il ruolo e soprattutto l’identità femminile musulmana?
L’islam ha due fonti principali, il Corano e la Sunna. La Sunna raccoglie i detti del profeta, quello che faceva eccetera. Da qui a determinare il ruolo della donna musulmana ce ne passa, perché ci sono interpretazioni diverse e ci sono dei passaggi nella lettura della religione che vanno a fondersi con elementi culturali, e vanno a dettare una nuova visione della religione che è influenzata in base alle diversità culturali.

Si può dire, semplificando, che è un problema di interpretazione?
Sicuramente c’è una questione legata all’interpretazione , che dipende dal proprio background culturale. Quindi se il proprio background culturale prevede un approccio misogino, patriarcale, maschilista, allora l’interpretazione andrà a finire in quel senso. Altrimenti ci sarà una maggiore possibilità di vedere una parità e libertà delle donne.

Il velo è un elemento di cui si parla moltissimo, forse addirittura troppo. Ma in definitiva di che cosa è segno, che cosa indica il fatto di portare il velo?
Il velo purtroppo è stato usato da tutte le parti, da musulmani e non musulmani per parlare della donna, o meglio per dire alla donna cosa deve fare o non deve fare, chi dovrebbe essere e cosa dovrebbe essere. Chi dice che la donna è obbligata a portare il velo e lo impone sbaglia perché limita la sua scelta. Chi invece pensa che portare il velo sia una condizione di sottomissione, di negazione della libertà della donna sbaglia ugualmente, perché è la donna che deve scegliere se portare o meno il velo. Portare il velo dovrebbe semplicemente essere un atto di fede, un percorso spirituale che fa la donna la quale, a un certo punto, può dire: "Per amore di Dio decido di coprirmi". Ma se una donna decide di non portare il velo, non significa che non sia musulmana, significa semplicemente che vive la propria fede in modo diverso.

L’islam ha un problema di maschilismo? Si può dire che generalmente ha un’impronta maschilista?
La domanda parte da un punto di vista sbagliato. Il problema non è l’islam, ma chi vive l’islam, quindi eventualmente sono i musulmani che vivono e interpretano e leggono l’islam. Allora sì, probabilmente c’è una parte di mondo musulmano che ha un problema legato al maschilismo, a misoginia, patriarcato e questo va a giustificare una lettura estremista a volte fanatica, altre volte chiusa rispetto al ruolo della donna. Mentre ci sono altri musulmani che non propongono questa lettura maschilista.

Veniamo a parlare del progetto di cui lei è responsabile, il progetto Aisha. Quale è la proposta che voi fate alle comunità musulmane?
Aisha in arabo significa colei che è viva, colei che ha diritto alla vita. Progetto Aisha significa progetto di colei che ha diritto alla vita, e con questo noi vogliamo lanciare innanzitutto un messaggio che alle donne deve esser data la possibilità di riscattarsi da quei retaggi culturali che spesso si portano dietro dai loro paesi d’origine e liberarsene per essere indipendenti e disporre di sé. Al suo interno il progetto Aisha ha tre-quattro obiettivi principali. La sensibilizzazione, l’assistenza e la prevenzione e la formazione. Il progetto è promosso con l’appoggio dell'associazione degli imam e delle guide religiose in Italia perché sono un riferimento importante per la comunità e perché possono dare la lettura giusta nei confronti di chi giustifica la violenza con la religione. Noi diciamo che la religione non giustifica nessun atto di violenza contro le donne e nessun altro atto di violenza in generale.

Il progetto si rivolge anche agli imam. Che cosa proponete e che cosa chiedete a loro in particolare?
Innanzitutto ci saranno dei professionisti che insegneranno a loro a riconoscere le violenze, a realizzare l’entità del problema e a mettere in atto le procedure di aiuto. E poi c'è l’associazione degli imam che contribuisce a dare loro tutti gli strumenti religiosi per spiegare ai fedeli che c’è un problema che si chiama violenza contro le donne e che va affrontato, che non si può più tollerare. Infatti noi stiamo invitando anche gli imam d’Italia a parlare anche nei sermoni di questo problema, di dire agli uomini che non è accettabile, che non è la strada giusta per risolvere un problema o uno stato d'animo.

Gli uomini musulmani nelle comunità in Italia come reagiscono a questa iniziativa?
Tendenzialmente abbiamo avuto una buona disponibilità. Noi ci teniamo moltissimo che in questo progetto ci siano anche degli uomini. Bisogna lavorare tutti insieme: normalmente siamo affiancate da diversi uomini che ci aiutano, anzi abbiamo anche voluto che partecipassero a uno spot che abbiamo realizzato, di denuncia contro le violenze. E hanno risposto bene. Certo c’è chi non vuole riconoscere il problema, c’è chi confonde la realtà con la teoria, ovvero dice: "L’islam non prevede la violenza sulle donne quindi non possiamo parlare di questo tema". Certo, non vogliamo dire che tutti i musulmani sono violenti, perché la normalità non è questa. Però se ci fosse anche una sola famiglia che mette in atto questi meccanismi, noi ci attiveremo.

E suo marito come reagisce a questa sua iniziativa?
Mio marito sta già preparando il progetto Adamo perché si sente discriminato...! A parte gli scherzi, è molto contento, mi sta incoraggiando ed è assolutamente a disposizione. (intervista di Paolo Tognina)

Donne musulmane. Un ritratto insolito (Segni dei Tempi RSI La1)

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