Perché l'abito suscita dibattito

Nei media la questione dell'abbigliamento viene presentata a volte come uno scontro di civiltà

29 novembre 2016

(Nicola Mohler) Veste, kippah, turbante, velo: l'abbigliamento religioso attira l'attenzione. L'etnologa Jacqueline Grigo, studiosa delle religioni presso l'Università di Zurigo, ha seguito per un lungo periodo una donna musulmana, un sikh, un monaco buddista tibetano, una suora cattolica, un ebreo ortodosso e un membro della scena gothic metal. Nell'intervista spiega perché proprio l'abbigliamento islamico susciti reazioni particolarmente accese e perché gli insulti nello spazio pubblico contro una suora l'abbiano stupita.

Chi indossa abiti religiosi non passa inosservato. Tra ebrei ortodossi, evangelici mennoniti, monache o monaci buddisti, perché è l'abbigliamento islamico ad attirare tanta attenzione?
Come dimostrato da vari studi, in Svizzera l'informazione su temi religiosi è fortemente caratterizzata da giudizi di valore. Mentre il cristianesimo, l'ebraismo e le loro rappresentanti vengono giudicati a volte in modo positivo a volte in modo negativo, il buddismo è considerato quasi sempre pacifico, nonviolento, aperto, tollerante e non dogmatico. Nei confronti dell'islam prevalgono invece i giudizi negativi e nei media tale religione è presentata perlopiù in relazione con la politica, il conflitto o il terrorismo.

Come spiega questa informazione polarizzante?
In parte può essere ricondotta alla logica sensazionalistica dei media, che in questo modo alimentano le tendenze islamofobe e la xenofobia. Nei media viene evocato uno “scontro di civiltà”, in cui il velo viene ridotto a simbolo di valori non condivisibili. L'abbigliamento femminile islamico viene spesso presentato in chiave ideologica ed è visto, da molti, come espressione della negazione di ciò che la nostra società vuole essere: libera, con pari diritti, sicura ed equa. L'abbigliamento islamico è cioè visto, molto spesso, in modo avventato e generico, come espressione di dipendenza, diseguaglianza, propensione all'uso della violenza e oppressione.

L'abbigliamento islamico è visto, molto spesso, come espressione di dipendenza e diseguaglianza.

Il dibattito attuale non è in contraddizione con lo sviluppo della nostra società, che diventa sempre più plurale?
Crediamo di vivere in una cultura maggioritaria omogenea, in cui tutti abbiano gli stessi valori. Ma è da tempo che non è più così. La nostra società sta subendo una pluralizzazione e una individualizzazione a livello culturale e religioso. Ciò richiede da ogni singolo individuo la capacità di gestire la molteplicità, la non univocità e il mutamento. Ritengo che ciò costituisca uno dei presupposti alla base di una convivenza pacifica.

Nella sua tesi di dottorato si è occupata dell'abbigliamento religioso nel quotidiano. Ma la fede vissuta in modo visibile ha ancora posto nella nostra vita quotidiana?
La società secolarizzata prova irritazione nei confronti dell'abbigliamento religioso indossato nei luoghi pubblici. Lo collega generalmente a una mancanza di autodeterminazione, ad arretratezza, a chiusura sociale e a disinteresse estetico. La religiosità, secondo un'opinione diffusa, è una questione privata e non deve essere esibita in pubblico. A lungo si è pensato che con il tempo la religione sarebbe scomparsa dalla moderna e illuminata Europa. In tempi recenti si è però osservato un ritorno della religione che è percepibile anche visivamente, nello spazio pubblico.

La Milano di Miriam e Sumaya (Segni dei Tempi RSI La1)

Quale funzione assolve oggi l'abbigliamento religioso?
L'abbigliamento religioso possiede una varietà di possibili funzioni. Quale funzione assolva in una situazione concreta dipende dai singoli attori e comunità, ma anche dal contesto sociale e politico. Con l'abbigliamento religioso si manifestano appartenenza e identità, ma anche limitazione ed esclusione. Esso influenza la relazione di chi lo indossa con l'ambiente sociale e con la dimensione trascendente. L'abbigliamento religioso può servire al controllo e alla sottomissione degli individui, ma anche alla strumentalizzazione populista per obiettivi politici.

Lei ha seguito per un lungo periodo oltre venti persone credenti. Come interpretano quelle persone il loro abbigliamento?
Le interpretazioni e motivazioni personali per cui si indossa un abbigliamento religioso sono molto diverse. Per il monaco buddista intervistato l'abito rappresenta per esempio un sostegno nello sviluppo spirituale. Gli ricorda quotidianamente l'osservanza del voto, che costituisce un presupposto per lo sviluppo spirituale. Una musulmana spera, indossando il foulard, in una vita migliore nell'aldilà. Per il sikh i capelli non tagliati e il turbante sono un segno del suo rispetto verso Dio, mentre la suora cattolica esprime con il suo abito il proprio attaccamento alla comunità monastica. Ciò che colpisce è che da una prospettiva esterna l'abbigliamento religioso viene percepito soprattutto come segno di limitazione ed esclusione, mentre la persona che lo indossa non attribuisce quasi nessuna importanza a questo aspetto.

Le interpretazioni e motivazioni personali per cui si indossa un abbigliamento religioso sono molto diverse.

Come percepiscono le persone con un abbigliamento religioso le reazioni dell'ambiente circostante?
Molte riferiscono di esperienze di discriminazione che attribuiscono al loro modo di vestire: siano esse attacchi violenti, insulti, beffe o l'esclusione dal mercato immobiliare o del lavoro. Alcuni reagiscono ritirandosi dalla sfera pubblica. Altri fanno un passo avanti e cercano esplicitamente il dialogo con le persone non religiose o di altre religioni al fine di contrastare i pregiudizi ricorrenti. Le persone con un abbigliamento religioso parlano però anche di esperienze positive con l'ambiente sociale. Alcune persone sono interessate e pongono domande.

Queste reazioni influenzano la religiosità delle persone che indossano un abbigliamento religioso?
Sì. Le reazioni dell'ambiente possono portare a un più intenso confronto con la propria religiosità. Per alcuni ciò ha come conseguenza una rafforzata devozione. In altri casi questi confronti conducono a nuove interpretazioni delle proprie convinzioni religiose, in modo da poterle meglio conciliare con le opinioni correnti e le richieste della società.

Lei ha seguito anche una monaca in abito nero. Attacchi verbali, beffe, osservazioni sprezzanti, insulti aperti, minacce fanno parte delle esperienze negative nello spazio pubblico. Questo l'ha stupita?
Sì. Dal momento che le monache sono da tempo inserite nella tradizione religiosa svizzera e in parte sono anche impegnate nel sociale, davo per scontato che non incontrassero problemi in pubblico. E invece, come spiega una monaca, portando la veste del loro ordine si trovano a volte ad essere considerate “esotiche” o a suscitare sconcerto e disprezzo soprattutto da parte di persone giovani. (reformiert.info; trad. it. G. M. Schmitt)

Jacqueline Grigo
Religiöse Kleidung. Vestimentäre Praxis zwischen Identität und Differenz
Transcript 2015

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