Limitare il numero delle moschee

Per Saïda Keller-Messahli le moschee e le loro associazioni costituiscono la maggiore sfida all'integrazione dei musulmani in Svizzera

19 ottobre 2016

Il prossimo 3 dicembre, Saïda Keller- Messahli (nella foto), fondatrice e presidente del “Forum per un islam progressista", verrà insignita del Premio per i diritti umani 2016. Nata in Tunisia, affidata da bambina a una famiglia svizzera, ha studiato giurisprudenza e romanistica all'università di Zurigo. È stata inviata dal dipartimento degli esteri elvetico come osservatrice internazionale a Hebron, ha lavorato come giornalista e docente liceale. Oggi chiede una nuova impostazione della relazione con le moschee e una limitazione del loro numero.

Che cosa significa per lei il Premio svizzero per i diritti umani 2016?
Questo premio significa per me il riconoscimento del mio lavoro e l'impegno a continuare a svolgerlo come ho fatto sinora. Accetto il premio con gratitudine e a nome di moltissimi musulmani che la pensano allo stesso modo.

Come valuta la situazione dei musulmani in Svizzera?
La loro situazione in Svizzera è ottima. Qui trovano sicurezza, libertà, uno Stato di diritto e tutte le opportunità di sviluppo che auspicano per sé e per i propri figli.

Che cosa costituisce secondo lei la sfida maggiore per la Svizzera nell'integrazione dei musulmani?
Ciò che succede nelle moschee, i predicatori radicali, il finanziamento dall'estero, una immagine cupa della donna e così via; è questa la sfida maggiore. Abbiamo bisogno di una nuova impostazione della relazione con le moschee e dobbiamo limitarne il numero.

Che forma potrebbe assumere una tale impostazione?
Oggi le moschee sono lasciate a sé stesse: crescono a piacimento, costruiscono per milioni di franchi, accolgono predicatori radicali itineranti, si lanciano sui bambini per coprire con il velo le ragazze e fare della separazione dei sessi la norma. Questo terreno di coltura ha fatto sì che molti giovani, come è stato dimostrato, venissero radicalizzati nelle moschee e attirati nella jihad. Una nuova impostazione deve cambiare radicalmente questa rotta.

Sono quindi necessarie disposizioni giuridiche al riguardo?
Sì e molto chiare: ci vogliono un obbligo di autorizzazione e la trasparenza delle fonti di finanziamento così come della struttura amministrativa. Oggi c'è spesso dietro una potente fondazione in cui siedono sauditi e altri. Sono inoltre necessarie chiare condizioni che devono essere soddisfatte: nessuna separazione dei sessi, nessun predicatore da fuori, indipendenza assoluta dall'estero, comunicazioni in una delle lingue nazionali e così via.

Ci sono gruppi musulmani che non hanno molto a cuore l'integrazione e che preferirebbero vedere realizzata in Svizzera la loro propria visione di vita?
A mio parere la maggior parte delle associazioni delle moschee lavora contro l'integrazione. In esse, per esempio, le ragazze e le giovani vengono sistematicamente formattate e subiscono condizionamenti sociali: velo e separazione dai ragazzi.

La società musulmana in Svizzera è molto eterogenea. È possibile per i musulmani trovare un denominatore comune che promuova l'integrazione?
L'unico denominatore comune è la separazione tra religione e politica. Purtroppo questo principio laico viene calpestato nella maggior parte delle moschee della Svizzera.

I musulmani in Svizzera dipendono fortemente dal loro paese d'origine? In altre parole, sono esposti alle pressioni della loro patria e delle loro tradizioni?
È vero soprattutto per le moschee, che rappresentano soltanto il 12% circa della popolazione musulmana. Ciò non esclude che le pressioni del gruppo o del clan dai paesi d'origine abbiano effetto anche sugli altri nella loro vita personale.

Gran parte dei musulmani in Svizzera vivono senza esibire la loro appartenenza religiosa, per esempio nel modo di vestire. Altri danno valore a una distinzione chiaramente visibile vestendosi di proposito secondo la tradizione musulmana. Dove traccia Lei il limite tra la pratica della fede musulmana e la sua messa in mostra in Svizzera?
Sono due cose distinte: praticare la propria fede e ostentare la propria appartenenza religiosa. Ci sono molti musulmani che vivono la loro fede in privato, senza mai avere il bisogno di metterla in mostra. Non sono questi i musulmani che avanzano rivendicazioni politiche.

Si sente continuamente dire che le musulmane in Svizzera, come nei paesi musulmani, vengano incoraggiate a indossare il velo mediante una sovvenzione. C'è qualcosa di vero al riguardo?
Accade davvero in Francia, in Belgio e in Olanda. Perché non dovrebbe accadere anche in Svizzera?

Lei è fondatrice e presidente del “Forum per un islam progressista”. Che cosa significa “islam progressista”?
Significa un approccio all'islam compatibile con i diritti umani e i principi democratici. (intervista: kath.ch - Georges Scherrer; trad. it. G.M.Schmitt/vocevangelica.ch)